Tutti noi che abbiamo la fortuna di vivere a due passi dai resti dell’antica Roma veniamo a contatto giornalmente con uno dei misteri della storia dell’edilizia, l’incredibile durata dei monumenti romani, incredibile soprattutto se comparata con la durata di poche decadi dei moderni manufatti in cemento. Lo studio è stato pubblicato su American mineralogist e fra i firmatari c’è anche un italiano Piergiulio Cappelletti del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse (DiSTAR), Università degli Studi di Napoli Federico II. Gli esami sono stati svolti all’Università di Berkeley, mentre l’autrice principale dello studio Marie D. Jackson viene dell’Università dello Utah.
Non a caso gli scienziati hanno scelto di esaminare proprio resti di porti, non solo per l’ovvia considerazione che i nostri moli vengono sgretolati dall’azione del mare mentre quelli ancora resistono dopo più di 1500 anni dalla caduta dell’impero, ma perchè hanno iniziato da una ricerca storica e hanno trovato una antica ricetta per la malta. datata 30 a.c. (opera di un ingegnere romano che si chiamava Marco Vitruvio) che elenca come ingredienti: cenere vulcanica, ossido di calcio (conosciuto anche come calce viva) e acqua di mare, il tutto poi veniva messo in stampi e quindi immersa in più acqua di mare. Una nota del 79 d.c, descrive invece il calcestruzzo esposto all’acqua marina come “una singola roccia, impermeabile all’acqua e ogni giorno più forte”.
La soluzione del mistero del calcestruzzo romano
Gli scienziati hanno esaminato, grazie ai raggi X del sincrotrone dell’Università di Berkely, campioni dai porti di Portus Cosanus a Orbetello, Baianus Sinus a Pozzuoli, Portus Neronis a Anzio e Portus Traianus a Ostia.
Quello che hanno scoperto è che l’azione del mare ha sciolto la cenere vulcanica e ha innescato la formazione di altri minerali che sono diventati i nuovi leganti del calcestruzzo, in particolare un minerale raro chiamato alluminio tobermorite. Si sapeva da tempo che Al-tobermorite è ciò che dà al calcestruzzo romano la sua forza, noi siamo in grado di crearlo in laboratorio ma è molto complesso inserirlo nel cemento. Ora gli scienziati hanno scoperto che l’acqua marina svolgeva questo compito nella ricetta dei romani, creando anche un altro minerale molto importante nella incredibile solidità chiamato phillipsite (un minerale, appartenente alla famiglia delle zeoliti, che prende il nome dal mineralogista e geologo inglese William Phillips).
Prospettive di impiego della scoperta
Ora gli scienziati dovranno trovare un modo per ricreare il calcestruzzo romano in tempi accettabili per l’industria moderna, ma se e quando ci riusciranno avremo un materiale da costruzione capace di resistere molto più di quelli attuali e possibilmente ottenuto con un processo economico e più ecologico di quelli che si utilizzano per i meno duraturi cementi attuali.
Sicuramente questi nuovi (e antichi) materiali sarebbero una rivoluzione, il calcestruzzo romano che reagendo con l’acqua marina crea nuovi minerali e invece di indebolirsi diventa una specie di roccia compatta e sempre più resistente è qualcosa di completamente diverso rispetto ai moderni cementi.
Uno degli autori dello studio ha osservato che nell’industria dei materiali per molte persone sarà difficile afferrare il concetto di un cemento non rinforzato con l’acciaio al suo interno, bisognerà anche testare se questo materiale oltre a durare di più nel tempo abbia anche una resistenza alla trazione che possa almeno equivalere quella del cemento armato.
Roberto Todini