La caduta degli stereotipi

Recentemente, qui su Ultima Voce, ci siamo occupati dell’eterna piaga sociale degli stereotipi, in particolare quelli di genere, e di come anche nel nostro Belpaese persista la visione della donna vista solo come angelo del focolare domestico.

Eppure, un recente studio di un gruppo interdisciplinare di Stanford ci porta finalmente una buona notizia: sembra infatti che nel corso degli ultimi cento anni, molti pregiudizi su genere e minoranze stiano gradualmente scomparendo. E a darci questi incoraggianti risultati è un nuovo straordinario algoritmo di machine learning.

Cento anni di stereotipi

I ricercatori di Stanford hanno utilizzato una tecnica algoritmica chiamata “word embeddings”, in grado di mappare le relazioni e le associazioni tra le parole. L’algoritmo ha monitorato i cambiamenti negli stereotipi di genere ed etnici nel secolo scorso in USA. Sono stati analizzati immensi database di libri, giornali e altri documenti della storia recente americana. Si è poi osservato come tali cambiamenti linguistici fossero correlati con i dati demografici del Censimento degli Stati Uniti e i principali cambiamenti sociali; ad esempio, il movimento femminista negli anni ‘60 e l’aumento dell’immigrazione asiatica, secondo la ricerca.

James Zou, professore di data science in ambito biomedico, afferma:

“Il word embeddings può essere utilizzato come un microscopio per studiare i cambiamenti storici negli stereotipi della nostra società. La nostra precedente ricerca ha dimostrato che gli embeddings catturano efficacemente gli stereotipi esistenti e che tali pregiudizi possono sparire con gli anni. Ma pensiamo che, invece di rimuovere quegli stereotipi, possiamo anche usare gli embeddings come mezzo storico per analisi quantitative, linguistiche e sociologiche dei pregiudizi”.




Algoritmi…sociologici!

Zou è stato coautore dello studio con la docente di Storia Londa Schiebinger, il professore di linguistica e informatica Dan Jurafsky e Nikhil Garg, laureato in ingegneria elettronica e autore principale.

Dice Schiebinger:

“Questo tipo di ricerca ci apre ogni porta. Fornisce un nuovo livello di evidenza che consente agli studiosi di materie umanistiche di cercare risposte sull’evoluzione degli stereotipi e dei pregiudizi su vie mai percorse prima”.

Il word embedding è un algoritmo che viene utilizzato e “addestrato” su una raccolta di testi. L’algoritmo assegna quindi un vettore geometrico ad ogni parola, rappresentandola come un punto nello spazio. La tecnica usa la posizione in questo spazio per catturare le associazioni tra le parole nel testo sorgente.

Prendiamo ad esempio la parola “onorevole”. Usando lo strumento di inclusione, la ricerca ha rilevato che l’aggettivo ha una relazione più stretta con la parola “uomo” rispetto alla parola “donna”.

Un barlume di ottimismo

I ricercatori hanno utilizzato il word embeddings per identificare professioni e aggettivi prevenuti verso donne e minoranze etniche per decennio dal 1900 ad oggi. I risultati della ricerca hanno mostrato cambiamenti significativi nei ritratti di genere e pregiudizi verso gli asiatici e altri gruppi etnici nel corso del XX secolo.

Uno dei risultati più evidenti è stato il modo in cui i pregiudizi verso le donne siano cambiati in meglio – in una certa misura – nel tempo. Ad esempio, aggettivi come “intelligente”, “logico” e “riflessivo” venivano associati più agli uomini nella prima metà del XX secolo. Ma dagli anni ‘60, gli stessi termini sono stati sempre più associati alle donne ogni decennio successivo, in correlazione con il movimento femminista degli anni ‘60, sebbene permanga ancora un certo divario. Ma, una volta tanto, sembra di scorgere finalmente una luce in fondo al lungo tunnel dei pregiudizi sociali.

Roberto Bovolenta

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