Caccia alle streghe: tra mito e patriarcato

caccia alle streghe

Nel medioevo, le donne che riuscivano ad emergere tra la folla tentando di ottenere quello che agli uomini dell’epoca era semplicemente dovuto, non riscuotevano altro che paura. E si sa, ciò che si teme, si disprezza, e ad ogni costo si prova ad eliminare.
Questo è quello che hanno dovuto subire le donne a partire dal XV secolo: la caccia alle streghe.
Le discriminazioni sociali del genere femminile però, non sono problematiche che si possono rilegare al passato, poiché tenute in vita dal patriarcato dei giorni nostri.

Europa, 15esimo secolo. La caccia alle streghe è appena iniziata, riversando terrore e scompiglio nei villaggi e in campagna. La Chiesa infuria contro donne ribelli, escluse e libere. 

Sortilegi e malefici erano proibiti già nell’antica Roma, ma questa volta è diverso. Le condanne tra le fiamme dei roghi, il sorriso sulla bocca degli Inquisitori e le inutili e spietate stragi di massa, lasceranno una traccia indelebile. Una traccia che arriva sino ai giorni nostri, mutando in maniera drastica le relazioni sociali con innumerevoli conseguenze sulla realtà odierna.

La figura della strega è molto antica e può essere rintracciata anche prima dell’era protostorica (basti ricordare la mitologia con la maga Circe, Ecate, signora dell’oscurità, e Diana, dea della caccia). Qualsiasi donna che godesse di un certo tipo di indipendenza poteva essere considerata una strega. 

Gli Inquisitori sospettavano soprattutto di coloro che mostravano forme di ribellione nei confronti dei canoni patriarcali, o che rimanevano estranee ai ruoli femminili imposti all’epoca, diventando così elementi perturbatori dell’ordine sociale. 

In generale, tutto ciò che esulava dalla “normalità” del tempo, ovvero il diverso, era visto con forte sospetto e totalmente escluso.

La Chiesa quindi, ha semplicemente sfruttato il suo potere e l’ignoranza del popolo, per poter mettere a tacere il genere femminile, che al contrario, voleva solo essere visto una volta per tutte alla stregua di quello maschile, e non essere considerato come un oggetto senz’anima.

Il desiderio delle donne di essere viste alla pari della figura maschile senza alcun pregiudizio o paura del potere che esse possono detenere però, non è stato ancora esaudito nemmeno all’interno della società attuale.

Proprio per questo motivo, il 12 luglio 2011 si sviluppano le cosiddette “quote rosa”. Un provvedimento effettuato all’interno dei consigli di amministrazione, nelle sedi istituzionali, che si basa sull’introdurre obbligatoria di un certo numero di presenze femminili. Al fine di ridurre la discriminazione di genere e consentire alle donne di sfondare il glass ceiling, “soffitto di vetro”, ovvero la barriera invisibile che impedisce alla donna di accedere ad incarichi prestigiosi ed ai centri decisionali.

Eppure, le discriminazioni attuali non si fermano qui. Nonostante le donne riescano ad ottenere una parvenza di potere attraverso un determinato lavoro, accade spesso che i colleghi mettano in atto il cosiddetto mansplaining. Un fenomeno che deriva dall’unione di “man” (uomo) ed “explaining” (spiegare), ed indica la pratica attuata da uomini che, mascherando il loro agire in malafede con toni politicamente corretti, si ritengono maggiormente qualificati nello spiegare ad una donna un concetto sul quale non sono necessariamente più preparati.

Sempre restando in ambito lavorativo inoltre, è bene citar il fenomeno del gender pay gap. Ovvero il divario retributivo tra lo stipendio annuo di un lavoratore e di una lavoratrice, a parità di titolo di studio e di mansione svolta. Un dato che spicca tra tutti è quello della differenza in busta paga tra i generi che secondo dati ISTAT, in Italia ammonta al 23,7%.

Una domanda sorge quindi spontanea: dove si trova la fonte di tutta questa discriminazione, oltre alla mentalità misogina diffusa della società odierna? 

Come sostiene in un’intervista per “La Stampa” la dottoressa Margherita Spagnuolo Lobb, psicoterapeuta e direttrice dell’Istituto di Gestalt HCC Italy:

Con l’emancipazione femminile e con la conquista di diritti sociali, economici e civili della donna, la figura maschile si sente destabilizzata, di fronte ad una donna che dimostra di saper portare avanti battaglie e di vincerle, di saper svolgere gli stessi lavori degli uomini, e di riuscire bene in qualsiasi impresa. Un sentimento negativo alimentato ancora di più da ciò che la donna possiede e l’uomo non potrà mai avere: la capacità di generare la vita. Di fronte a tutto questo l’uomo, non aiutato dalla società contemporanea priva di valori relazionali, reagisce con la prepotenza, con abusi, e violenze. […] La dimensione educativa è dunque cruciale perché modula l’interpretazione personale della propria appartenenza di genere e del corpo sessuato.

È evidente quindi, come la maggior parte della mancanza di contesti inclusivi sia addebitabile alla lacuna del genere maschile nell’ambito della parità. La causa risiede nella mentalità di una società sempre più impaurita dal possibile potere delle donne, così come al tempo della caccia alle streghe.

In fondo però, si sa, le donne vengono da sempre temute per l’enorme potere che risiede dentro di ognuna di loro. Il potere della vita.

Sofia Raineri

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