Non c’è bisogno di conoscere il nome del programma in cui lavora il protagonista del libro “Caccia al nero” (2022, Chiarelettere s.r.l.)per capire di che si tratta. Piazze allestite ad arte, servizi smontati e rimontati a seconda del messaggio da trasmettere, e poco importa se presentano una ricostruzione fittizia della realtà: se vuoi giocare, queste sono le regole.
Il meccanismo era effettivamente molto semplice. Si basava sul presupposto che la realtà potesse venire sezionata e ricomposta senza mai smettere di essere reale.
Al lettore sarà bastata questa breve descrizione per individuare il tipo di programma a cui ci riferiamo. Il classico programma populista, che vuole parlare alla pancia degli spettatori attraverso l’identificazione di un nemico comune, che di volta in volta può essere il rom, il percettore del reddito di cittadinanza, oppure un immigrato appena sbarcato a Lampedusa. D’altra parte i soggetti più deboli sono sempre i più esposti a questo tipo di narrazioni, i più facili da stereotipizzare. E quindi lo zingaro ruba e ha il macchinone, il percettore del reddito preferisce starsene a casa in panciolle piuttosto che lavorare, l’immigrato è venuto in Italia a fare il criminale.
Attraverso l’espediente letterale del racconto, questo libro narra le esperienze reali di un gruppo di ex lavoratori della TV populista- che sono voluti rimanere anonimi, così come lo scrittore. Nella nota degli autori iniziale il testo è definito una “testimonianza in forma narrativa” di certe redazioni italiane che hanno contribuito a formare l’opinione pubblica negli ultimi anni.
“Caccia al nero” ci dà la possibilità di scorgere cosa si cela dietro le quinte della fabbrica della disinformazione populista, di osservarne da vicino l’intero processo produttivo.
“Caccia al nero” racconta il dramma dell’informazione italiana
Lo sguardo del nostro protagonista è lucido, nonostante sia imperversato dai sensi di colpa per i contenuti dell’informazione trasmessa. Data la sua importanza per il corretto funzionamento del processo democratico, quello di giornalista dovrebbe essere un mestiere da esercitare secondo un sacro principio: raccontare la verità. Purtroppo l’Italia si trova al cinquantottesimo posto per quanto riguarda la libertà di stampa, e la testimonianza raccolta in questo libro non fa che confermare il dato.
Infatti è l’esperienza diretta del protagonista a raccontarci delle falle sistemiche del settore dell’informazione:
“Era come un serpente che si morde la coda: riducendo le risorse abbattevi la qualità; con la qualità si abbassavano gli introiti, e gli editori, a quel punto, ricominciavano a tagliare le risorse. Il livello dell’informazione era logicamente sempre più basso.”
La sua carriera inizia in un classico quotidiano locale, povero di mezzi ma abile a sfruttare i suoi collaboratori. Poi arriva il salto nella grande città, ma i problemi rimangono gli stessi. Dopo anni di lavoro in queste condizioni, la possibilità di girare servizi per un programma TV comincia ad essere allettante, a prescindere da quali siano i contenuti da trasmettere:
“Avrei voluto alzarmi e girare i tacchi, invece rimasi lì, per un anno intero, a lavorare in un programma populista di un’importante tv privata, guadagnando tre volte e mezza quel che piglia un metalmeccanico, ma con la faccia vergognosamente schiacciata in un grande mare di merda.”
L’avvento della fotografia prima, e del video poi, ha permesso all’umanità di raccontare la realtà in un modo del tutto nuovo, più coinvolgente. Ma anche di manipolarla. Scegliere cosa inquadrare è, di per sé, una distorsione della realtà: a seconda di cosa metto a fuoco, posso scegliere di raccontare il disagio delle comunità rom, la fatiscenza delle loro baracche o le precarie condizioni igieniche in cui sono costretti a vivere; oppure posso inquadrare il dente d’oro del capo della comunità, il suo orecchino dorato, una macchina di lusso di cui attribuirgli il possesso, e solo per abusare ulteriormente del cliché per cui “gli zingari rubano e guidano macchine di lusso”. Tutto dipende dalla storia che vuoi raccontare.
In questo senso, dalla discussione tra il protagonista e Gigi, il suo capo, si evince subito la linea editoriale della redazione:
Ma Gigi non finse nemmeno di ascoltarmi. «Tu devi metterti nella testa di un vecchio di ottant’anni» esclamò continuando ad andare su e giù come un ossesso. «Se prendi da parte tua nonna e le parli degli zingari, qual è la prima cosa che ti dice?»
«Che rubano, suppongo.»
«Ecco, è questo che dobbiamo far vedere! Mica che gli manca il gas o che il Comune non gli porta via l’immondizia. Noi parliamo al popolo, non dimenticartelo mai!»
La trappola della disinformazione
“Caccia al nero” getta una grande ombra sul servizio informativo italiano e sui meccanismi che ne sono alla base, non risparmiando nessuno. Reporter, giornalisti, dirigenti, montatori, politici ospitati nei talk show: sono tutti addetti di questa filiera della disinformazione. Ciò che lascia più esterrefatti è l’atteggiamento: qualcuno è appagato, altri sono sinceramente convinti del servizio offerto, ma la maggior parte di loro è indifferente. Ma come si fa a rimanere inermi di fronte alla stereotipizzazione dei soggetti più fragili? Come si può accettare passivamente di lavorare in un ambiente del genere?
Domande che il lettore è obbligato a porsi, sperando di trovare una risposta che lo rassicuri, che giustifichi i personaggi di questa storia. E mentre la cerca ansiosamente arriverà, senza accorgersene, alla fine del racconto, e nuovi interrogativi lo assaliranno: possiamo fidarci ancora dei media? Cosa succede se l’opinione pubblica, il “cane da guardia” della democrazia, viene manipolata? Sono anche io una vittima del sistema?
A questo proposito vi voglio rassicurare: dipende solo da noi. Se non vogliamo cadere nella trappola di chi ci offre risposte semplici a situazioni complesse, dobbiamo scavare a fondo, andare oltre la superficie della notizia. Un lavoro arduo, ma necessario, che non può non essere accompagnato da una consapevolezza, che ci costringe a rimanere vigili: i programmi di disinformazione, come quello raccontato da “Caccia al nero”, stasera saranno in onda.
Daniele Cristofani