Una tutela faunistica paradossale: caccia al gatto in Nuova Zelanda

caccia al gatto in Nuova Zelanda

La Nuova Zelanda è probabilmente nell’immaginario di molti un luogo dove si vive in armonia con una grande varietà di flora e specie animali. La realtà dei fatti è decisamente meno idilliaca. Gli ambientalisti hanno recentemente denunciato la barbara pratica della caccia al gatto in Nuova Zelanda, dove chi uccide più gatti selvatici riceve un premio in denaro. Fra le categorie coinvolte nella competizione ci sono anche i bambini. Questa pratica rientrerebbe nel più vasto piano per rendere il paese “predator-free” al fine di proteggere le specie autoctone, sempre più compromesse. Proteggere una specie animale deve necessariamente implicare l’uccisione di un’altra?

Caccia al gatto in Nuova Zelanda: la North Canterbury Hunting Competition

Il North Canterbury è una regione centro-orientale dell’Isola del Sud in Nuova Zelanda. Si tratta di un’area rurale dove cacciare è molto comune, non a caso ogni anno fra i mesi di aprile e giugno ha luogo la “North Canterbury Hunting Competition“. Questa gara di caccia riscuote un enorme successo fra la popolazione locale: ogni anno sono centinaia coloro che sparano ad animali selvatici per i quali viene offerta una taglia. Diverse sono le categorie della competizione: lepri, cervi, maiali… e gatti.

La caccia ai gatti selvatici è un tema particolarmente dibattuto nel paese, contro cui si sono sempre schierati gli ambientalisti. Questi si sono accaniti con tanta tenacia sotto i post social di sponsorizzazione della gara che si è deciso di sopprimere la categoria dei gatti.

L’edizione 2023 della competizione fa scalpore anche per l’inserimento di una categoria inedita di partecipanti: i bambini. I piccoli al di sotto dei 14 anni venivano incoraggiati ad uccidere il maggior numero possibile di gatti selvatici nella speranza di vincere fino a 250 dollari neozelandesi (circa 140 euro). Tuttavia, è improbabile credere che un bambino sia capace di distinguere un gatto domestico da uno selvatico. In un momento in cui a livello globale la questione riguardo la protezione dell’ecosistema è decisamente sensibile, viene insegnato ai bambini che sparare gli animali non solo è permesso ma anche premiato.

L’uccisione come forma di protezione

Gli organizzatori dell’evento annunciano sui social la rimozione della categoria dei gatti selvatici dalla gara. Possiamo leggere nel loro post Facebook:

Abbiamo ricevuto mail vili e inappropriate, siamo delusi e ci scusiamo per coloro che erano entusiasti di essere coinvolti in qualcosa che riguarda la protezione dei nostri uccelli nativi e di altre specie vulnerabili”.

I commenti degli utenti riflettono indignazione ed alcuni dichiarano che continueranno a sparare ai felini finché continueranno a vederli. L’attacco contro i gatti selvatici sarebbe giustificato da una serie di danni che questi infliggono: portano malattie, danneggiano l’agricoltura… ma soprattutto, uccidono gli uccelli nativi del paese. La caccia al gatto in Nuova Zelanda risponderebbe dunque ad una volontà di preservare le specie autoctone e la biodiversità.

Sono 400 le specie autoctone a rischio di estinzione nel paese, fra queste si vogliono proteggere in particolare uccelli come il kiwi e il kakapo. Quest’ultimo si è già estinto nelle due isole principali della Nuova Zelanda. Secondo la Royal Forest and Bird Protection Society i gatti selvatici, che nel paese sono più di due milioni, sono responsabili della morte annua di 1,1 milioni di uccelli nativi. La caccia al gatto in Nuova Zelanda sarebbe allora una forma di  “abbattimento controllato” di una specie considerata pericolosa. Le alternative all’uccisione sono poche, specialmente in una regione come il North Canterbury dove i gatti non sono nemmeno classificati come animali domestici.

Nuova Zelanda “predator-free” entro il 2050

L’ex Primo Ministro della Nuova Zelanda, John Key, aveva annunciato nel 2016 l’obiettivo di rimuovere completamente i predatori dal paese entro il 2050. Questo piano ha come fine la conservazione della biodiversità tramite una radicale eradicazione che colpisce, oltre che i gatti selvatici, ratti, ermellini ed opossum. Il Dipartimento per la Conservazione della Nuova Zelanda insiste sul fatto che “ognuno ha un ruolo da giocare nel processo“: i neozelandesi vengono invitati ad uno stermino collettivo di intere razze animali. Un invito che la popolazione sembra cogliere con fervore: “Siamo un paese che si vanta del proprio ambiente naturale e non abbiamo paura di una sfida“. Un modo non esattamente felice di fare vanto del proprio ambiente naturale.

Se il piano predator-free sembra suscitare entusiasmo, i metodi per attuare questa eradicazione non sono esenti da critiche. Tra i più spietati vi è l’utilizzo del veleno 1080, proibito in diversi stati del mondo data la sua pericolosità. Questo veleno sottopone gli animali che lo ingeriscono ad una lunga agonia, delle sorte di attacchi epilettici. Una morte tanto cattiva sembra configurarsi come una “punizione” di quegli animali responsabili dell’estinzione di ciò che per la Nuova Zelanda è sempre stato motivo di orgoglio.

Gli esperti hanno considerato come i predatori venuti dall’esterno, come i gatti selvatici, si siano ormai perfettamente inseriti nella naturale catena di predatore-preda del paese. Eradicarli dunque permetterebbe sì la protezione di specie native ma impatterebbe altri punti della catena in modo imprevedibile e decisivo. Le pratiche di abbattimento dei predatori sono responsabili dunque di un effetto domino che impatta in modo più largo e dannoso l’ecosistema, basato su equilibri fragilissimi e spesso da noi impercettibili.

Caccia al gatto in Nuova Zelanda, il tassello di una politica viziata

La vita di una specie animale vale più di un’altra? Questa è una delle tante riflessioni che vengono suscitate da quello che sta succedendo in Nuova Zelanda. È paradossale pensare che un piano di conservazione della biodiversità sia basato sull’uccisione: la conservazione dovrebbe evitare che alcuni animali muoiano, non eliminarne degli altri. Voler proteggere le specie autoctone è un obiettivo nobile, ma la politica con cui viene portato avanti è senza dubbio viziata ed invece di eradicare un problema, ne crea di ulteriori.

Inoltre, possiamo mettere in discussione le “buone intenzioni” dietro l’uccisione degli animali. Ritornando alla North Canterbury Hunting Competition, i gatti selvatici sono solo una delle categorie della competizione: cervi, maiali e lepri non rientrano fra i predatori responsabili dell’estinzione degli uccelli nativi, eppure continuano ad essere uccisi. Gli organizzatori dell’evento ricordano a proposito su Facebook che “tutte le voci sono ancora aperte per tutte le altre categorie, assicurati di seguire la nostra pagina Facebook per vedere i fantastici premi in palio!”.  L’uccisione di animali come puro e gratuito divertimento, invece che fare passi avanti torniamo secoli indietro.

La soppressione della caccia al gatto in Nuova Zelanda sembrerebbe una piccola vittoria per gli ambientalisti. Quest’anno in North Canterbury i bambini non impugneranno i fucili per partecipare a questa competizione che sa tanto di uomo di Neanderthal. Ora più che mai è cruciale insegnare ai bambini come proteggere gli animali e l’ambiente, non come danneggiarlo. Tuttavia, come dimostra anche il recente dibattito riguardo l’abbattimento degli orsi, a livello globale c’è ancora tanta strada da fare.

Caterina Platania

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