C’era una volta ad Hollywood: un film di gusto

 Tarantino guarda allo star system e al cinema classico con occhio affettuoso, con il suo C’era una volta ad Hollywood. Il film è un omaggio ed un sogno in tutto e per tutto: in questa sua natura esaurisce il suo significato ed il suo percorso.

La trama del film si costruisce su due linee parallele, due storie di attori che solo alla fine s’intrecciano, pur in un’unione forzata. Tarantino segue la storia dell’attore Rick Dalton (Leonardo DiCaprio), aiutato dall’amico e stuntman Cliff Booth (Brad Pitt) in una fase discendente della sua carriera; in contemporanea, mostra la vita quotidiana di Sharon Tate, la diva moglie di Roman Polanski che qui ha il viso e lo charme di Margot Robbie (The Wolf of Wall Street, Suicide Squad).

Il film è fatto con la premessa che il pubblico conosca i fatti di Cielo Drive: la mancanza, se esistente, è facilmente recuperabile ma è proprio nel rendimento e nel richiamo di quegli avvenimenti che il film perde forza. Forse è il film più anticlimatico di Tarantino, quello più vicino alla commedia, da pensare come galleria di ricordi di un mondo (non solo cinematografico).

Proprio per questo fatto il film, che vuole fare da album di immagini del passato narrate con affetto, non sa costruire la tensione.




La famiglia di Manson è schernita a tal punto nel film che dà grandi spunti comici e si rivela utile per un soddisfacente finale gore e l’orrore, allontanato dalla Tate, si esaurisce. La messa a morte dei carnefici è ad opera di Brad Pitt, qui smagliante al fianco di un DiCaprio che punta sempre di più all’istrionismo.

La Robbie più che un ruolo, ha una bella presenza e contribuisce alla piacevolezza estetica del film. La figura della Tate è circonfusa di affetto e si sente, proprio come lo sono le strade di una Los Angeles valorizzata nella luce calda di Robert Richardson, già collaboratore di Oliver Stone.

Film gradevolissimo, lascia una forte, ricca impressione ambientale ma non resta dentro per la trama o la struttura, è un lavoro più di analisi e di emozione, che di costruzione.  Grandissimi i camei secondari.

Antonio Canzoniere

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