Stiamo assistendo all’abolizione dell’Altro dalle nostre vite. Con danni irreparabili per l’individuo e la società. Riscoprirne l’importanza attraverso l’ascolto, atto primario della comunicazione, è il primo passo verso la ricostruzione di una comunità umana.
A spiegarlo nel suo libro intitolato “L’espulsione dell’Altro” (nottetempo edizioni) è il filosofo coreano Byung-Chul Han. Facendo una summa delle sue opere precedenti, l’autore mostra come la figura dell’Altro, con la sua singolarità, non sia funzionale al mondo dominato dalla comunicazione digitale e dalla produzione neoliberistica. Tale sistema va sostituendo in modo progressivo l’Altro con la figura dell’Uguale. Perché massimizza velocità e funzionalità dei processi sociali. Ma in questo modo la vita s’impoverisce e nascono nuove patologie.
Le patologie dell’Uguale
La società prestazionale impone all’individuo d’essere imprenditore di se stesso generando angoscia e autodistruttività. La conoscenza e l’esperienza vengono sostituiti dalla sola informazione. Le relazioni personali cedono il posto alle connessioni telematiche.
Sono queste – spiega Byung-Chul Han – le patologie dell’Uguale, figura connotata dalla percezione in forma di binge watching: consumo bulimico di video e film senza alcun limite temporale. I prodotti incontrano sempre il suo gusto perché sono appositamente studiati. Chi cade nella trappola dell’Uguale viene sopraffatto da ammassi di informazioni da cui ricava solo correlazioni e non spiegazioni. Non ci si chiede più il perché delle cose. Non ci si interroga più sul rapporto causa effetto. E’ così, e basta.
La società del consumo impone l’autenticità: la produzione di se stessi attraverso il consumo. Ma l’autenticità presuppone la comparabilità. Che è ben diversa dalla singolarità, a sua volta imparagonabile, a cui ciascuno dovrebbe aspirare. Colpa del neoliberismo che isola l’uomo costringendolo a essere imprenditore di se stesso in una società priva di solidarietà e oppressa dalla concorrenza universale. Ciò produce angoscia, o meglio “angoscia laterale”, derivante dal continuo paragonarsi agli altri da cui ci si è isolati.
Senza solidarietà, senza comunità, senza l’Altro, si cerca invano di produrre se stessi in condizione di vuoto interiore. E il selfie – secondo il filosofo coreano – può essere considerato il massimo esempio del funzionamento a vuoto dell’io, isolato nel suo narcisismo. Con il selfie ci troviamo difronte al riprodursi del vuoto.
Terrorismo e nazionalismo
La globalizzazione voluta da neoliberismo è la vittoria dell’Uguale. Secondo il filosofo coreano terrorismo e nazionalismo sono la risposta violenta alla violenza del globalizzazione. La reazione delle singolarità che non vogliono sottomettersi allo “scambio universale”. Senza solidarietà e senso civico la massa diventa insicura, angosciata, e cade nel tranello del nazionalismo e del razzismo. Perché l’identificazione del nemico fornisce rapida identità. Processo che invece la natura ha affidato alla conoscenza dell’Altro. Stando così le cose, il Terrorismo diventa “l’ultimo atto dell’autenticità“. E farsi saltare in aria, “il selfie definitivo“.
Assenza di soglie e di esperienze
La Rete non agevola l’incontro con l’Altro ma serve a trovare chi ha la nostra stessa opinione, isolando i diversi e arrivando al “mi piace” come “grado zero della percezione”. In questo modo il nostro orizzonte di esperienze è sempre più ristretto. Senza la figura dell’Altro, portatrice di negatività intesa come un nuovo rapporto con la realtà, la vita s’impoverisce.
Senza conoscenza, senza l’Altro, “siamo come turisti”. La circolazione universale del capitale, della comunicazione e dell’informazione abbatte “le soglie” che ci trasformano in qualcosa di nuovo, “livella lo spazio“. Non facendo esperienza, rimane tutto uguale. E mentre inseguiamo la nostra ottimizzazione, la nostra autorealizzazione, cadiamo in una nuova forma di alienazione: non più dal mondo o dal lavoro ma da noi stessi. Sintomatologia di questo processo è il rapporto alienato con il corpo a cui si devono bulimia, anoressia, binge eating.
La comunicazione digitale non ha corporeità
Il medium digitale è privo di sguardo, non ci sorveglia. Così ci sentiamo liberi di metterci a nudo, alimentando il nostro vuoto narcisistico. La comunicazione digitale è priva di sguardi e voci, di corporeità, che sono il manifestarsi degli altri. Tende a eliminare ogni momento del rapporto con l’altro, “livellando l’io nell’Uguale“. Mentre invece il pensiero dell’Altro rende possibile la creazione di una nuova idea di mondo partendo dal suo punto di vista. L’usuale viene abbandonato per fare nuove scoperte.
La società dell’Ascolto
Difronte “all’inflazione patologica dell’io“, Byung-Chul Han preannuncia la nascita futura di un nuovo mestiere: l’ascoltatore. Perché anche l’ascolto viene estromesso dalla società, essendo il primo passo per accogliere e incontrare l’Altro. Per ricevere in dono la sua singolarità destabilizzatrice e vivificatrice, che ci garantisce reale esperienza e ci aiuta a trovare la nostra identità.
Invece internet diventa “una vetrina inutile dell’io” dove non esistono relazioni personali ma connessioni. La comunicazione è priva del prossimo, della sua vicinanza. Ascoltare non è scambiarsi informazioni ma accogliere con benevolenza gli altri per consentirgli di esprimersi liberamente.
Byung-Chul Han, chiudendo il suo illuminante saggio, auspica la costruzione di una “società dell’ascolto” e dell’attenzione in cui si riscopra “il tempo dell’Altro e no il tempo del se”. L’unica strada per ridare senso al concetto di comunità.
Michele Lamonaca