Buttare i libri: un gesto antisociale che danneggia tutti

Buttare i libri è un gesto antisociale

Quando si vede un cassonetto che trabocca di libri, a tanti s’innesca un travaso di bile. Giustamente, non solo perché si tratta di un gesto da ignoranti. Buttare i libri, infatti, è antisociale: non dimostra scarso rispetto solo per la cultura, ma anche per la comunità.

Questa mattina, mentre camminavo nel parco con la mia cagnolina, ho notato un libro gettato per terra, con le pagine strappate. Era stato preso a calci e probabilmente bruciato con un accendino. Si trattava di una vecchia edizione del teatro di Shakespeare, cosa che ha reso ancor più doloroso vedere il volume in quello stato. Poco più in là, ho notato che i cestini erano stracolmi di libri. E non erano libri qualsiasi: Stendhal, Salinger, Pasolini, Levi, Pirandello, Steinbeck, Agatha Christie, Hitchcock, Kundera… Edizioni economiche ed edizioni di pregio, tutte in buono stato a parte il fatto di essere state infilate con malgarbo dentro ai cestini per l’immondizia. Vedevo rosso: com’è potuto venire in mente a chiunque l’abbia fatto di buttare i libri a quel modo?




Per chi apprezza la letteratura, una scena del genere manda il sangue al cervello. E credo che la ragione non abbia a che fare solo con l’amore per la cultura. Mi sembra che, in un certo modo, entri in gioco anche una dimensione morale.

I libri e la memoria: un atto di spregio

Buttare i libri in quel modo mi sembra, anzitutto, un atto di scarsa cura e quasi di disprezzo per chi ne era il proprietario o la proprietaria.

In quei bidoni, come dicevo, c’era un po’ di tutto: per esperienza, so che ad accumulare una biblioteca così ci vogliono anni, forse decenni. Alcuni testi erano riconoscibili come parti delle collane periodicamente fatte uscire dai quotidiani. Altre erano edizioni da libreria, qualcuna economica e qualcuna con curatele importanti.
Probabilmente chi possedeva questi libri era un lettore onnivoro, che magari s’intratteneva con essi la sera in poltrona o durante qualche viaggio. Magari amava girare tra le bancarelle dell’usato, per portarsi a casa 4 o 5 nuove letture a poco prezzo. Di certo, però, quando arrivavano a casa sua questi volumi erano trattati con rispetto, quasi con devozione. Infatti non ci sono annotazioni sulle pagine, né macchie, né orecchie. A denunciare letture e riletture sono le copertine consunte e il fatto che le pagine, girate e rigirate, sono tenute insieme da una rilegatura ormai molle.

Ecco, io non ho conosciuto questa persona, non so nemmeno con certezza se sia esistita. Se, come credo, c’è stata, sono abbastanza sicura che vedere la sua biblioteca disseminata nei cassonetti di un parco gli/le avrebbe fatto male. Ma se riesco a immaginare io, un’estranea, il suo dispiacere, possibile che non possano farlo gli eredi che presumibilmente si sono incaricati di svuotare la casa? Mi sembra una mancanza di rispetto e di empatia che rivolta lo stomaco.

Il vizio dei libri, per chi ce l’ha

Sì, è vero: forse è una questione fin troppo personale. Per me, che scrivo di mestiere, i libri sono uno strumento di lavoro irrinunciabile. Del resto, è un vizio di famiglia: mia madre e mia zia sono grandi lettrici, come lo erano altri parenti che ho conosciuto meno. E a casa, anche se si è sempre stati bene, mamma e papà mi hanno sempre raccomandato di spendere con giudizio. Con tutto, tranne che coi libri: l’acquisto di un libro, mi dicevano, è sempre un buon investimento.

A me e alla mia famiglia di che comprare i libri non è mai mancato. Ma alcuni miei amici e colleghi, e molti dei loro genitori e nonni, non sono stati così fortunati. I libri erano un bene accessorio, perciò si leggeva in biblioteca. Ogni tanto si ricevevano in dono volumi in edizione economica di seconda o terza mano, ed era una festa. E poi c’erano, quando si aveva qualche soldo in più, le fiere e le bancarelle dell’usato.

Personalmente, so di essere una privilegiata: non ho mai dovuto scegliere se mangiare o comprare dei libri. Però so che c’è chi deve. Proprio per questo vedere buttare i libri in quel modo mi manda in bestia.

La scomparsa dell’orizzonte della collettività

I libri non hanno data di scadenza o taglia. Se non mancano loro alcune pagine, sono utilizzabili da chiunque sappia leggere la lingua in cui sono scritti. Perché, anziché buttare i libri, non portarli allora in biblioteca, o in un ufficio pubblico, e lasciarli a disposizione di chi li vuole? Ci vuole lo stesso tempo (se non di meno) che a disseminarli nei cestini di un parco pubblico.

Penso che un’idea del genere non abbia neanche sfiorato chi li ha gettati via. Per lo stesso motivo, immagino, per cui non hanno pensato che quei volumi potessero essere venduti o regalati. Nei libri queste persone non hanno visto un bene sociale, ma solo un fastidio di cui sbarazzarsi il più in fretta possibile.

Gli altri non erano un elemento rilevante nella scelta di buttare i libri in quel modo. Né la persona cui erano appartenuti, né gli utenti del parco che hanno trovato tutti i cestini pieni, né gli operatori tenuti a occuparsene.
E nemmeno altri più remoti, altri sconosciuti che di quei libri avrebbero potuto servirsi, magari approfittando della loro gratuità.
Una persona anziana con una pensione misera, per esempio, qualcuno che non può andare spesso in libreria. Uno straniero arrivato da poco, che sta imparando la lingua mentre lavora. Un ragazzino che non spenderebbe la paghetta in libri ma, chissà, potrebbe appassionarsi a un fantasy pescato da una scatola di libri vecchi. Ma di tutti costoro, penserà chi sceglie di buttare i libri, in fondo che importa? Non sono un problema suo, così come non lo erano quei libri.

Buttare i libri, recuperare i libri: qual è la vergogna?

Naturalmente, tutte queste osservazioni hanno un’origine. Sì, lo ammetto: armata di guanti, detergente e scatoloni, sono tornata indietro e ho tirato fuori i libri dai cassonetti. Li ho puliti, inscatolati e messi su una panchina riparata, apponendovi il cartello “Libri usati gratis“. Qualcuno che volevo leggere da tempo l’ho pure portato a casa, dopo averlo lustrato per bene. E no, di questo non mi vergogno neanche un po’.

C’è qualcosa, però, di cui mi vergogno.
Mi vergogno del fatto che, quando tornerò, i libri potrebbero essere tornati nei bidoni, oppure giacere sparsi e strappati per il prato. Non sarebbe la prima volta, qui come altrove in Italia. Per ripicca, per ignoranza, per noia: adulti o ragazzini, che degli adulti non possono che seguire l’esempio.
Mi vergogno del fatto di vivere in un Paese in cui buttare i libri, bruciarli, prenderli a calci è la prassi. Ecco, di questo sì, mi vergogno molto. Non tanto per i libri in sé: Shakespeare sopravvive da più di 400 anni e continuerà a godere di ottima salute. Quanto perché il fatto che sia diventato così difficile vederne l’importanza per chi li possedeva e per chi potrebbe leggerli è grave. Non è solo l’amore per la cultura, di questi tempi, a passarsela male. Non se la cava bene la solidarietà sociale che passa anche dagli oggetti. Dalla cura degli spazi comuni. Dal preoccuparsi per chi ha meno e dal cercare di rendersi utili agli altri. La capacità di riconoscere la presenza degli altri nell’orizzonte delle nostre azioni e scelte ha il polso debole.
Cosa che giorno dopo giorno ci avvia a essere sempre un po’ più piccini, un po’ più aridi, un po’ più impotenti, un po’ più soli.

Valeria Meazza

 

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