Conclusa con successo la tappa catanese, il tour de Il dolore pazzo dell’amore di e con Pietrangelo Buttafuoco, Mario Incudine e Antonio Vasta proseguirà a Comiso, il prossimo 15 dicembre, al Teatro comunale Naselli
“All’Amore bisogna credere, sempre. Anche quando ci fa pazzi di dolore”. All’amore come all’innocenza, ai musicanti, ai cantastorie, alla Sicilia vivida che profuma di gelsomino. Bisogna crederci, sempre. Come sempre bisogna credere a connubi artistici di rara bellezza. Il trio Pietrangelo Buttafuoco, Mario Incudine, Antonio Vasta è una di queste virtuose liaison, che ha concluso con l’ennesima standing ovation la tappa catanese de Il dolore pazzo dell’amore, attualmente in tour nei maggiori teatri siciliani.
Una platea gremita, quella di Zo Centro Culture Contemporanee, che ha assistito al più intenso tra gli inni alla vita. Sul solco tracciato dall’omonimo scritto di Buttafuoco, edito da Bompiani, si innestano cunti capaci di creare percorsi nuovi, indipendenti dal romanzo, ma che con questo hanno in comune l’amore, mai sciatto, incastonato in un entroterra siculo profumatissimo e lussureggiante.
L’intero impianto scenico colpisce per la precisione chirurgica, le simmetrie geometriche in cui le diverse cromie di luci scandiscono il percorso narrativo. Perché Buttafuoco, Incudine e Vasta, tra cunti e canti, portano in scena l’anima multiforme dell’amore folle. Ad ogni sfaccettatura, un colore. C’è il dolore pazzo dell’innamoramento. La bramosia con cui gli occhi di lui si posano su di lei. La furiosa passione dell’amplesso. L’ardente fiamma con cui si alimenta il vezzo delle “fimmine”. Il dolore pazzo nel volerle amare tutte, come “cagne e dee”, almeno finché Iddio non giunge a toglierti il vizio. Dopotutto, nella soleggiata Trinacria vivono i maestri dell’intensità. In Sicilia un uomo non si accontenta di amare semplicemente una donna. No. Qui un uomo “esce pazzo” per una donna. E in quell’uscire pazzi c’è tutta la musica e la poesia che solo l’amore può concepire.
C’è, poi, il dolore pazzo dell’amore per la vita in un’appassionante e rabbiosa litania scaturita dalla chioma incanutita. Forse azzardato definirla tale? Decisamente no. Perché in quelle parole cadenzate e cantilenate vive la supplica al tempo perché si fermi. Vive la rabbia e l’impotenza. Vive la forza della preghiera. Quella stessa cantilena che dona lustro alle radici di preziosa identità culturale. Tempus fugit. Inesorabile prosegue la sua corsa, lasciandoci attoniti, impotenti, ed assetati di vizi e manie. Desiderosi di vita come fossimo appena venuti al mondo.
Questo dolore pazzo raggiunge l’acme nella prospettiva del morente. Lì, esattamente nell’attimo in cui realizzi che stai andando via, le parole si fanno vibrante lirica di ineguagliabile intensità. E quel dolore pazzo si fa ancora più pazzo, per quanto ami la vita con i suoi odori e i suoi sapori. Sui declivi di Faccialavata, appena fuori Leonforte, ti vedi già scivolare tra le spighe di grano, con le narici piene di quel profumo che solo i fichi d’India appena sbucciati possono sprigionare. Ti ci ritrovi senza sapere come, catapultato dagli aneddoti di un appassionato Buttafuoco. Perché quel dolore pazzo è un memoir, una porta attraverso la quale Pietrangelo ti accoglie nella sua dimensione più intima e vivida: i cunti di famiglia, ambientati tra Leonforte e Agira, con personaggi reali – la zia Lia, come lo zio Nino – dai connotati felliniani.
E’ tutto un vorticoso e forsennato andirivieni dialettico-musicale, in cui il maestro Antonio Vasta accompagna la complementarità di Buttafuoco e Incudine. Tanto geometrica e cadenzata la parola del primo, nella sua narrazione ad intensità crescente e furente, tanto vorticosa e travolgente la musica del secondo, degno completamento di una vis irrazionale che solo il sottile filo rosso dell’amore può tirare. Tanto diafano Buttafuoco, nella delicatezza della giustapposizione di cunti, tanto colorito Incudine con i suoi drappeggi di note e di aneddoti riguardanti i musicanti. Storie di parrini. Di matrimoni e funerali. Di vita e di morte, che si annodano nel dolore pazzo dell’amore. In tutto questo tripudio di follia germogliano verità, assiomi. Il primo: tutto l’universo obbedisce all’amore, omaggiando il maestro Franco Battiato. Il secondo: dopotutto, la morte non è la fine.
Alessandra Maria