Il 24 agosto al Christopher Park di New York un gruppo di attivisti ha eretto un busto di Marsha P Johnson, in onore di quello che sarebbe stato il suo 76esimo compleanno.
Il primo monumento in un parco newyorkese a rappresentare una persona trans
Già nel 2019 Bill de Blasio, sindaco di NYC, aveva annunciato che avrebbero installato un monumento in onore di Marsha P Johnson e Sylvia Rivera, due attiviste transgender che hanno avuto un ruolo fondamentale nei moti di Stonewall del 1969.
“Le comunità transgender e non-binary sono scosse da violenti attacchi discriminatori in tutto il paese. Qui a New York City, stiamo mandando un chiaro messaggio: vi vediamo per chi siete, vi celebriamo, e vi proteggeremo”,
queste le parole di de Blasio al parlare del monumento in onore delle due donne transgender. Monumento raccomandato dal comitato di She Built NYC, che si impegna a correggere il gender gap nell’arte pubblica della città. Infatti, su oltre 800 monumenti presenti nei parchi newyorkesi, fino a pochi giorni fa solo 7 rappresentavano figure femminili storiche.
Tuttavia, per il progetto di de Blasio non fu neanche mai scelto un artista. Si presume che lo scoppio della pandemia di Covid-19 abbia bloccato i lavori.
Un gruppo di attivisti prende in mano la situazione
Non potendo più attendere che il governo locale si smuovesse, alcuni attivisti transgender della zona hanno deciso di ergere loro stessi un busto di Marsha P Johnson per il giorno del suo compleanno. Eli Erlick, coordinatrice del progetto e donna transgender, ha infatti affermato:
“Non possiamo restarcene con le mani in mano e aspettare che la città costruisca statue per noi. Dobbiamo creare noi stessi rappresentazioni per le nostre comunità”.
Marsha P Johnson: amante di poesia, fiori, spazio e del color viola
Il busto, realizzato dall’artista transgender Jesse Pallotta, ritrae una Marsha sorridente, ornata di tiara e perle, ai quali gli attivisti hanno aggiunto una coroncina di fiori. La targa subito sotto riporta una citazione attribuita a Johnson:
La storia non è qualcosa a cui ripensi e dici che era inevitabile, succede perché le persone prendono delle decisioni che a volte sono molto impulsive e dettate dal momento, ma quei momenti sono realtà cumulative.
Segue poi una descrizione dell’attivista, “amante di poesia, fiori, spazio e del color viola”.
Il busto di Marsha P Johnson come simbolo di inclusività
Il luogo in cui si trova il busto non è casuale. È infatti posizionato a pochi metri da un altro monumento, il ‘Gay Liberation’ di George Segal.
Commissionato nel 1980 e installato nel 1992, anno della morte di Johnson, il Gay Liberation è composto da due coppie di statue bianche. Come il titolo lascia intendere, si tratta di una rappresentazione di due uomini e due donne gay, una vittoria per la comunità LGBTQ+ dell’epoca. Tuttavia, il monumento è stato fortemente criticato perché rappresentante solo una minima parte della comunità, quella dei bianchi cisgender.
Inoltre, l’opera di Segal, così come il temporaneo busto di Marsha, si trovano vicino allo Stonewall Inn. Qui nacquero i moti di Stonewall, dai quali partì la rivoluzione gay, portata avanti non solo da coppie di bianchi cisgender gay, ma anche da persone di colore e transgender. Proprio per questo nel 2015, in segno di protesta, le statue furono colorate di marrone e adornate con parrucche e reggiseni.
"Black + Latina trans women led the riots: Stop the whitewashing" #NotOurStonewall pic.twitter.com/nkKk5p6JCI
— Not Our Stonewall (@NotOurStonewall) August 18, 2015
Lo scultore Pallotta spiega infatti:
Marsha rappresenta tutti gli altri – persone trans, persone queer dalla pelle nera e marrone, sex worker, drag queen, senzatetto, e molti altri che storicamente sono stati lasciati fuori dal moderno movimento LGBTQ+. Per molte persone, vedendo un busto di Marsha è la prima volta che vedono una scultura rappresentativa di qualcuno con cui si sentono storicamente connessi.
Perché realizzare un busto di Marsha era così importante
Alla domanda ‘perché hai deciso di imbarcarti in questo progetto?’, l’artista risponde a Ultima Voce:
Lo spirito di Marsha mi ha aiutato a superare così tanto: dal sentirmi ostracizzato da casa e dagli ambienti lavorativi perché trans, dall’impegno messo per la salute mentale, e dall’essere un sex worker che ha subito violenze. Queste esperienze mi fanno venir voglia di nascondermi dal mondo e mi fanno sentire come se essere me stesso fosse intrinsecamente sbagliato. È grazie alla mia riflessione sulla forza, bellezza e resilienza di Marsha che sono in grado di superare ogni giorno e trovare la speranza in un domani migliore. Mi sono innamorato di Marsha, e la sua bellezza mi lascia senza parole, che è il motivo per cui era importante per me portare avanti un progetto che centrasse la sua bellezza, affinché tutto il mondo la vedesse.
Chi era Marsha P Johnson?
Marsha “Pay It No Mind” Johnson è stata definita in molti modi durante il corso della sua vita: donna trans, drag queen, sex worker, senzatetto. Ed è stata tutte queste cose, ma anche molto altro.
Una donna nera trans, che in un periodo in cui l’omosessualità era ancora concepita come malattia mentale andava in giro in full drag, vestita come più le piaceva. Un’attivista importante per i moti di Stonewall e per la creazione del movimento di liberazione gay, che si è battuta per i diritti della comunità LGBTQ+ ed ha partecipato al primo Gay Pride. Una donna trans, che nel clima di brutalità della New York dell’epoca, nella quale i trans venivano picchiati ed incarcerati senza motivo, ha creato insieme a Sylvia Rivera il gruppo STAR (Street Transvestite Action Revolutionaries) per dare una casa ai giovani senzatetto della comunità. Un’amica, che collaborando con l’ACT UP New York, aiutava i malati di AIDS.
Marsha P Johnson è stata una figura importante per la comunità LGBTQ+, ed è bello ricordarla con questo busto in cui Pallotta la ritrae gioiosa e piena di vita, proprio com’era. Questa installazione, però, è solo temporanea. Sta alla città di New York riprendere in mano il progetto del monumento e portarlo a termine, per rendere omaggio a entrambe le attiviste, Sylvia Rivera e Marsha P Johnson.
Elisa Pinesich