Giacche, maglioni, gonne, cappotti, pantaloni vengono chiusi in sacchi destinati ai poveri, o almeno così si crede. È il traffico degli indumenti usati che poi arrivano alle bancarelle dei paesi poveri.
Il bottino sono quintali di abiti usati. Migliaia di cassonetti, 1800 distribuiti sul territorio della sola Roma, svuotati dalle cooperative o dagli appaltatori incaricati riassumono un business milionario sulle spalle dei poveri.
Ma quanto pagano per questi stracci gli “ultimi della terra”? E quanto paghiamo noi? Quanti sono gli indumenti mai arrivati nelle mani di chi ne aveva veramente bisogno? Chi ci guadagna insomma?
Secondo recenti stime dell’Ispra la raccolta differenziata dei rifiuti tessili è cresciuta sensibilmente negli ultimi tempi fino a raggiungere il 12% del totale (che si aggira su 80mila tonnellate annue), pari a 2 kg a persona. L’Istituto Superiore per Protezione e la Ricerca Ambientale parla di un giro d’affari legato alla raccolta degli stracci a Roma di oltre 2 milioni di euro. Su ogni capo d’abbigliamento venduto all’ingrosso il ricavato è di 20 o 30 centesimi, in base alla loro qualità.
Ogni anno più di 10mila tonnellate di vestiti finiscono nei cassonetti gialli presenti in tutte le città italiane. Questi vestiti molto spesso invece di arrivare ai centri di distribuzione accreditati, passano per le mani di organizzazioni criminali che li selezionano accuratamente e li rivendono nelle piazza dell’usato delle nostre più grandi città.
Esiste un’apposita normativa in materia di tali speciali rifiuti, IV parte del D.Lgs. 152/06 e s.m.i., che regolamenta la raccolta differenziata dell’abbigliamento e dei prodotti tessili. La normativa prevede che tale tipo di rifiuto, classificato come rifiuto urbano, sia sottoposto al controllo diretto dei comuni o dei gestori che direttamente, o attraverso terzi, gestiscono il servizio di raccolta e conducono il rifiuto ad una sua rigenerazione.
La maggior parte dei comuni italiani ha affidato il servizio a operatori che raccolgono gli abiti dai cassonetti e li vendono a ditte di stoccaggio per pochi centesimi al pezzo. Il trattamento degli abiti raccolti prevede prima la selezione (escludendo i capi destinati al riutilizzo, ad esempio perché troppo rovinati) e poi l’igienizzazione, da effettuare prima che gli abiti siano rimessi nel ciclo post consumo.
Chi dona, perchè nella sostanza si concretizza una donazione, non conosce il destinatario del gesto. Conosce lo scopo ideale e non l’intera trafila. Tanto meno la truffa. Solo una parte viene selezionata e distribuita alle persone in stato di bisogno.
Diverse inchieste della magistratura hanno messo in luce che il traffico dei vestiti usati serve a organizzazioni criminali per riciclare soldi sporchi attraverso la vendita nei mercatini dell’usato di capi ancora buoni.