Buon Compleanno Mr Grape: la trama
Era il 1993 quando Lasse Hallström portò sul grande schermo la storia della poco ordinaria famiglia Grape, residente in un piccolo paese del centro America che -con non poche difficoltà- cerca di fronteggiare le complesse problematiche che la vita le ha posto davanti, come lo stato depressivo della mamma Bonnie (Darlene Cates) e l’autismo del giovane Arnie (Leonardo Di Caprio), oltre alla prematura morte del padre, figura colmata dal figlio Gilbert (Jhonny Depp) che si fa carico delle vicende familiari sacrificando la propria realizzazione personale.
La figura di Arnie
Come accade in queste circostanze, il focus dell’attenzione della casa è interamente concentrato su Arnie, descritto in chiave realistica attraverso la disabilità con cui convive e raccontando come questa alteri positivamente quanto negativamente la percezione del mondo che lo circonda. Per quanto il ragazzo conservi una dolce infantilità che gli consente di gioire delle piccole cose -come l’idea dei festeggiamenti per il suo compleanno o l’osservare gli uccelli arrampicato su di un albero- al tempo stesso è lampante quanto i suoi ritmi vengano scanditi a un tempo diverso da quello dei più, evidenziati dalle difficoltà nel controllo degli impulsi o nel comprendere la conseguenza delle azioni che spesso mettono a rischio la sua stessa sicurezza, necessitando così di una supervisione costante.
Lo stress familiare
A discapito dei suoi progetti e cresciuto troppo in fretta, Gilbert diventa guida ed ala protettrice del fratello minore Arnie. In seguito al suicidio del padre, resta l’unico membro della famiglia capace di sopperire alle necessità dell’adolescente: la madre -intrappolata nei suoi 250 kg di peso che la vincolano ad un letto- è incapace di contribuire alle faccende domestiche in quanto dalla scomparsa del marito è lentamente scivolata verso un baratro di bulimia e depressione.
L’inclusione sociale
In una situazione così complessa, il ruolo della comunità è cruciale. Gilbert, solo in una scena lascia trasparire la sofferenza e la stanchezza inevitabilmente accumulate per le quali egli stesso si condanna ma che denotano solo la lecita fragilità di un personaggio che per tutta la narrazione ricopre il ruolo del supereroe: disponibile, empatico, una persona sulla quale si può contare e che ha sempre la soluzione giusta per ogni problema, un caregiver instancabile che ha abbandonato in mare aperto i sogni e le aspirazioni appartenutigli un tempo.
La comunità di Endora però gli si dimostra spesso solidale e la bizzarra quotidianità dei due fratelli viene costellata da figure secondarie contribuenti a smorzare la dimensione della disabilità di Arnie, come il proprietario del negozio di alimentari – che nonostante le ossessive ritualità del giovane Grape messe in atto ad ogni visita, si mostra sempre giocoso e comprensivo- o gli agenti della polizia locale, che, sapendo della sua passione per l’arrampicata, durante i loro interventi per metterlo in salvo adottano un approccio amichevole, evitando severi rimproveri che il giovane non riuscirebbe a comprendere.
È grazie a Backy (Juliette Lewis) -giovane ragazza di passaggio in città- ,che Arnie supera la paura di fare il bagno al lago, ma probabilmente l’esempio più significativo di inclusione è rappresentato dalla festa per il 18esimo compleanno del ragazzo che da mesi i Grape gli stanno organizzando, alla quale partecipano entusiasti amici e concittadini.
Come ogni storia-ahimè però- c’è anche l’altro lato della medaglia, fatto in questo caso di pregiudizi ed intolleranza, come quella della sorella Hellen che non accetta di avere un fratello così complicato o le occhiate dissidenti dei passanti per strada, indicanti quanto sia latentemente dilagante nella popolazione il rifiuto del non ordinario, considerato troppo spesso tabù.
Cambiamento culturale e sensibilizzazione
Come nel film, anche nelle nostre piccole e grandi realtà tutti hanno il dovere di mobilizzarsi al fine di un cambiamento culturale volto ad una maggiore accettazione delle diverse forme di normalità e di felicità esistenti, perché ogni essere umano – come diceva già Aristotele ventiquattro secoli fa- è per natura orientato a vivere in comunità, ed in nome di tale virtù ha il diritto di essere equamente considerato.
È importante che le persone preposte al bene aumentino e prendano consapevolezza della loro importanza. Ogni piccolo gesto che potrebbe sembrare irrilevante, può impattare enormemente nella vita di un individuo già costretto a combattere le proprie sfide quotidiane e sapere che al di fuori delle mura domestiche c’è una famiglia ancora più grande pronta ad accoglierti è una consapevolezza rincuorante assolutamente non scontata. A tal fine sarebbe enormemente costruttivo riconoscere come, in una società in continua evoluzione quale la nostra, la vera anormalità non risiede in Arnie che prima di uscire di casa accende e spegne ripetutamente il pulsante delle luci all’ingresso, ma nello scegliere una vita ancorata a pregiudizi desueti anche per i nostri primati.