Il bullismo con le sue sfaccettature come le prese in giro, gli insulti, le maldicenze ripetute più di una volta continuano ad essere molto diffuse nell’ambiente scolastico. Il fenomeno come dicono i dati dell’ Eurispes-Telefono Azzurro, è tra i 7-9 anni (scuola primaria) e poi verso i 12-15 anni, (medie e superiori). Purtroppo da questi dati si può capire che il fenomeno non è di poco conto ma continua ad estendersi tra i bambini/e e ragazzi/e.
Il bullismo, parola che evoca aggressività nel campo scolastico, non è sempre facile riconoscerlo;
“Le sue manifestazioni sono molte, e cambiano anche in base alla fascia di età di chi compie l’atto e di chi lo subisce.” dice Alfonso Sodano, medico esperto in clinica dell’adolescenza e docente presso la LUDeS di Lugano che da 20 anni si occupa del problema, collaborando con le scuole.
“Di norma, la vittima è chi risulta più o meno attaccabile, il più fragile che attira gli atti del bullo come se fosse una calamita. A volte, è quello ‘troppo piccolo’, ‘grasso’, ‘magro’ o chi soffre di qualche tipo di handicap”.
Di fatto questo fenomeno può essere ricondotto a tre categorie: fisico (botte, spinte, tormenti), psicologico (esclusione, pettegolezzi) e verbale (offese, prese in giro).
Quando un bambino/a o un ragazzo/a è vittima di bullismo si può chiedere aiuto ai genitori avendo un dialogo aperto con loro e non chiudersi in se stessi ed isolarsi, si può chiedere aiuto agli insegnanti parlando con loro del problema e cercando insieme delle soluzioni concrete.
“Ci deve essere un clima volto a una risoluzione del problema, ma naturalmente se la linea discorsiva non funziona, allora si coinvolge una figura specializzata, medico o psicologo, e si attivano i servizi sociali”, spiega Sodano.
Il dottor Daffi aggiunge che non si può ridurre il bullismo a un problema di un singolo alunno. Occorre sensibilizzare, oltre i ragazzi coinvolti, anche le intere classi, gli istituti, i docenti e le famiglie.
“Se si sono verificati episodi di bullismo ai danni del figlio, il genitore deve informare gli insegnanti. Questo fenomeno, infatti, tende ad autoalimentarsi nel tempo.” dice il dottore.
“In più, è possibile che i docenti ignorino o non abbiano una chiara percezione della frequenza di queste situazioni all’interno delle proprie classi. I bulli, infatti, agiscono, spesso indisturbati, durante la ricreazione, negli spazi esterni, o nei tragitti da e verso la scuola”.
“L’adulto che affronta un caso di bullismo ( ha il figlio vittima o il figlio bullo), deve mettersi in discussione.“Si sta perdendo di vista la persona, la congiuntura sociale e per questo anche il contatto umano. E il bullismo affonda le sue radici in questo contesto. In poche parole, non è sempre e solo colpa dei ragazzi: Quali modelli forniamo come adulti?” conclude Sodano.