Il grande buffet dei vaccini è un privilegio solo per i Paesi ricchi

buffet dei vaccini

Eccolo il grande buffet dei vaccini: la corsa agli approvigionamenti. Si fa complessa anche nei Paesi ricchi, dove, nonostante l’imponente sforzo di approvvigionamento, bisogna comunque fare i conti con le aziende che cercano di interpretare i contratti di fornitura a modo loro. Immaginiamoci a cosa possano andare incontro i Paesi poveri. 





Il rischio reale è che le zone più povere del mondo rimangano senza tutele, piagati già da situazioni sanitarie compromesse. L’assenza di vaccini per i Paesi meno sviluppati non è notizia di oggi, no. Semmai, è ancora una volta la conseguenza della maldistribuzione delle risorse. 


L’allarme dell’OMS

A lanciare l’allarme è stato qualche giorno fa il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom, sostenendo che il mondo stia andando incontro a un “fallimento morale catastrofico”. Il dito dell’OMS è infatti puntato contro i Paesi ricchi che, oltre a potersi permettere l’acquisto prioritario, starebbero cercando di fare scorta di vaccini. Insomma: come entrare a un buffet quando tutti gli altri invitati di prima classe si sono già abbondantemente saziati, con primo, secondo e terzo giro.



La campagna vaccinale nel mondo

La campagna vaccinale è iniziata a livello mondiale quasi un mese fa e ha portato alla distribuzione di circa 55 milioni di dosi in 51 Paesi. La maggior parte di questi rappresentano ovviamente l’Occidente economico, a cui va ad aggiungersi la Cina. Il continente africano, invece, ne è stato quasi completamente escluso.

L’Unione Europea, ad esempio, si è garantita 2,3 miliardi di dosi mediante contratti siglati con le varie aziende produttrici: a fronte di 500 milioni di abitanti (un numero al rialzo) a cui dovrebbero essere somministrate 2 dosi, i magazzini di tutta Europa dovrebbero riempirsi di oltre il doppio delle quantità necessarie. L’Italia e i suoi vicini di casa, così come il neoinsediato governo USA, hanno predisposto piani vaccinali che puntano a immunizzare le loro popolazioni entro i primi mesi dell’autunno 2021.

I primi problemi

L’enorme domanda sta già mettendo in crisi in produttori, che, nonostante gli stringenti contratti firmati coi Paesi, stanno già arrancando nell’accontentare le richieste dei vari Stati. Pfizer Biontech, ad esempio, a causa di un intervento di manutenzione a un impianto in Belgio, ha rallentato la fornitura in Italia, con una riduzione del 29% delle dosi consegnate in questa settimana. Ciò potrebbe portare a un rallentamento nella catena vaccinale, con la realistica prospettiva che il traguardo dell’immunità di massa si allontani ancora. 

Ottimisticamente, nei prossimi mesi le varie autorità in giro per il mondo dovrebbero dare il nullaosta per la messa in commercio di altri vaccini, ma, man mano che il buffet si ingrandisce, non è detto che l’ingresso dei Paesi in via di sviluppo acceleri.

Il COVAX

L’OMS, già lo scorso anno, aveva sottolineato l’acuirsi delle disparità e aveva avviato una collaborazione internazionale, l’Access to COVID-19 Tools Accelerator (ACT). Si tratta di un accordo siglato con enti che già si occupano di accesso alle risorse per i Paesi più poveri. Sulla carta, il progetto di distribuzione dei vaccini contro il Covid-19 nel Terzo mondo esiste. Si chiama COVAX e punta a mettere a disposizione 2 miliardi di dosi entro la fine del 2021, insieme a 1 miliardo di siringhe. I Paesi interessati sono 90, tra cui Zimbabwe, Uganda ed Etiopia. Il COVAX è però un osservato speciale anche da Stati con maggiori disponibilità economiche alla ricerca di ulteriori bacini su cui fare affidamento.

Non è così semplice

A oggi, però, COVAX non ha ancora distribuito una sola dose. Mancano infatti i 2,8 miliardi di dollari che consentano di finanziare il piano. Di fatto, gli accordi tra i Paesi e le aziende sono stati già fatti, ma questo se possibile peggiora la situazione, perché comporta un aumento dei prezzi. Politico ha precisato però che non si tratta di veri e propri contratti, ma più di dichiarazioni di intenti. COVAX punterebbe su 500 milioni di dosi del vaccino di Johnson & Johnson (non ancora autorizzato), su 200 milioni da parte di Sanofi (in ritardo nella produzione). Più speranza danno le 170 milioni di dosi concordate con Astra Zeneca e le 200 milioni di fiale del Serum Institut dell’India, che però produce su licenza.

E quello di Pfizer-Biontech? Con quest’azienda COVAX non ha concluso nessun tipo di contrattazione, perché il suo prodotto è troppo costoso, anche per le complicazioni dovute alla conservazione delle fiale.

Poveri e popolosi

Un problema però appare immediato: i Paesi più poveri sono anche tra i più popolosi. E’ il caso ad esempio della Nigeria, con i suoi 200 milioni di abitanti, del Bangladesh, con 170 milioni, dell’Etiopia, con 100 milioni. Per non parlare dell’India, con il suo miliardo e 300 milioni di abitanti. E’ chiaro come gli accordi (che non sono ancora veri e propri contratti) siano un passo significativo ma quantitativamente insufficiente per pensare di immunizzare anche solo parte della popolazione.

Tutto il mondo è Paese: la burocrazia  

E poi: la burocrazia. Se il vaccino non è incluso nella lista approvata dall’OMS (al momento solo quello di Pfizer lo è), ogni Paese deve provvedere all’autorizzazione in autonomia.

La proposta della Commissione UE

Una soluzione ci sarebbe, certo. Si tratterebbe della donazione delle dosi in eccesso da parte degli Stati più ricchi. Martedì 19 gennaio, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha lanciato la proposta. Ha risposto all’appello dell’OMS e ha parlato più precisamente di un meccanismo per suddividere in modo più equo i famosi 2,3 miliardi di dose prenotate dai Paesi membri.

Un processo che rischia di essere scoordinato

La dichiarazione della presidente risulta generica soprattutto nelle tempistiche, visto che anche i Paesi UE stanno portando avanti a fatica quanto promesso già sui loro territori, anche a causa dei ritardi di Pfizer. Il problema è che, come ne hanno bisogno ora i Paesi ricchi, ne hanno necessità i Paesi poveri. Dare la precedenza ai Paesi più colpiti, inoltre, non è una strada percorribile quando si tratta di Paesi in via di sviluppo. I dati che arrivano dagli Stati più poveri non sempre sono attendibili per quanto riguarda il numero dei contagi. 

Le linee guida di GAVI

Come per la beneficenza, poi, se si tratta di operazioni di donazione poco coordinate e lasciate alla “bontà” dei singoli Stati, si rischia che i risultati siano inferiori a quelli sperati. Per questo GAVI ha prodotto un documento con delle linee guida, per una donazione proporzionale alle dosi che si ricevono. Il tema rimane comunque eticamente complesso, perché si parla di un prodotto già scarso nei Paesi più abbienti. Tra gli esempi virtuosi, c’è la Danimarca, che anche in questa fase ha deciso di dare inzio comunque alle donazioni.

Il ruolo del soft power

Donare vaccini, poi, mette sul tavolo anche altre questioni geopolitiche: non si tratta infatti solo di una buona azione, ma dell’esercizio del cosiddetto soft power, di cui abbiamo già parlato qui. I vari Stati, come la Cina o la Russia, cercano di espandere le loro aree di influenza, con prodotti come il Sinovac e lo Sputnik V che paiono particolarmente competitivi per il loro basso costo.

L’assenza di scelte

Le perplessità dell’Occidente e delle organizzazioni internazionali riguardano l’efficacia di questi vaccini, ma ecco qui un’altra questione. Essere poveri, purtroppo, non ti permette di scegliere tra molte alternative. E se, tra le mille difficoltà burocratiche, politiche ed economiche del tuo Paese, riesci a procurarti un camion di dosi, la consideri già una benedizione. Come in quel famoso buffet in cui, entrato per ultimo e dopo che gli altri si sono abbuffati, non ti resta che litigarti con gli altri una foglia di insalata.

Elisa Ghidini

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