Dal Bublik a Mosca passando per gli scorci desolati dell’estremo Est fino alla Casa Monumentale del Partito Comunista Bulgaro, ora tutti amano il brutalismo sovietico (e l’estetica del comunismo) ma si tratta davvero di un’attrazione sana e genuina?
Origini e caratteristiche dell’architettura brutalista
Colossali blocchi di cemento grezzo, linee geometriche pulite e uno stile privo di orpelli decorativi che vanno a creare edifici affascinanti e allo stesso tempo perturbanti: questi sono gli elementi chiave del brutalismo sovietico, nato in realtà in Inghilterra come evoluzione del béton brut di Le Corbusier.
Questa corrente architettonica si sviluppa a partire dagli anni ’50 fino agli anni ’80 circa e affonda le sue radici proprio nel periodo post-bellico, caratterizzato dall’impellente necessità di ricostruire gli edifici distrutti e di creare delle nuove abitazioni per le migliaia di sfollati utilizzando materiali economici e semplici da lavorare.
Il brutalismo, nonostante possa vantare numerosi esempi di edifici in tutto il mondo (Italia compresa), è appunto in Unione Sovietica che ha riscosso maggiore successo in quanto la sua estetica e funzionalità ben si sposavano con lo spirito socialista. Il comunismo, infatti, vedeva nelle palazzine “tutte uguali” un modo per raggiungere l’uguaglianza sociale ed eliminare così qualsiasi privilegio.
Soprattutto in Occidente, dove l’individualismo è la maggiore delle virtù, il brutalismo sovietico è stato per decenni aspramente criticato e considerato anti-estetico. Ma oggi qualcosa sta cambiando e sono sempre di più i profili sui social dedicati alla sua bellezza inaspettata.
La creazione di un’aesthetic
Negli ultimi anni, sui social media, il brutalismo sovietico è diventato oggetto di una sorta di culto da parte di una nicchia consistente di appassionati che lo hanno trasformato in una vera e propria aesthetic: da Tumblr a Instagram, sono moltissimi i post che ritraggono vedute innevate davanti a imponenti condomini in cemento, seguiti dagli hashtag più disparati che sembrano elogiare l’era della Guerra Fredda con riferimenti che stringono l’occhio alla centrale di Chernobyl e a un mondo devastato da un’apocalisse nucleare.
Lo youtuber Dave Legenda ha fatto del decadentismo post-sovietico il suo personal brand: nei suoi viaggi attraverso i Paesi dell’ex Unione Sovietica coinvolge i suoi followers nell’esplorazione degli esempi architettonici più noti della corrente, come la deprimente città-gulag di Vorkuta o le rovine degli edifici abbandonati di Vorgashor in Russia.
Anche la band bielorussa Molčat Doma, virale su TikTok, deve molto a questa estetica divisiva: scegliendo contorti edifici di cemento come copertine dei propri album e creando una musica dalle sonorità tenebrose e destabilizzanti, la band ha contribuito a influenzare lo shift dell’opinione pubblica verso un’esaltazione del brutalismo sovietico.
Le ragioni (e i rischi) dietro al trend
I motivi che hanno portato alla nascita di questo apprezzamento sono disparati: dalla nostalgia per la fine di un’epoca che forse non ritornerà più all’attrazione per un mondo lontano che non ci appartiene (nel caso della cultura occidentale), fino a un’ammirazione per l’operato e i valori dell’Unione Sovietica, a cui si aggiunge una nuova tendenza che ci porta a provare incanto laddove prima si vedevano solo imperfezioni e squallore.
Ma siamo davvero sicuri che ridurre il brutalismo sovietico a una patinata estetica da social media non sia deleterio? Esso è molto di più che una mera aesthetic o una tendenza per le persone da seguire, così come la vita in Unione Sovietica e il comunismo non sono state solamente un’illusione utopica ma un’esperienza reale (e spesso controversa) per moltissime persone. Quello che questo trend sembra pericolosamente ignorare è il significato storico-politico di cui sono carichi questi esempi architettonici, i quali rappresentano dei valori (come l’importanza della collettività) che nella società odierna stanno scomparendo e simboleggiano l’ultima eredità di un periodo storico che rischia di diventare preda di stereotipi e della cancel culture.
Brandizzare il brutalismo sovietico non impedirà che questi edifici, già in preda all’abbandono, vengano sottoposti alla demolizione o, peggio, alla mercé di turisti incivili alla ricerca di una manciata di likes.
Preservare gli esempi di brutalismo sovietico, sia in Russia che nel resto del mondo, significa riconoscerne e valorizzarne adeguatamente la loro preziosa capacità di trasportarci nel passato e in un mondo pieno di sfaccettature differenti che esulano dai luoghi comuni.
Sara Coico