Bruce Lee. Il volo del drago

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Non essere un unica forma, adattala e costruiscila su te stesso e lasciala crescere: sii come l’acqua. Libera la tua mente, sii informe, senza limiti, come l’acqua. Se metti l’acqua in una tazza, lei diventa la tazza. Se la metti in una bottiglia, lei diventa la bottiglia. Se la metti in una teiera, lei diventerà la teiera. L’acqua può fluire o può distruggere. Sii acqua amico mio”. Bruce Lee – Tao of jeet kune do.

Non esiste morte vera se si lascia un grande ricordo di sè. Una verità, questa che si addice solo a quei grandi personaggi, che passando su questa terra,  lasciano un eredità ricca di tradizione, innovazione e quella spiritualità, mescolata a quei costumi che tanto sembrano contrapposti gli uni agli altri.

Bruce Lee è stato uno di quei personaggi che ha meglio dimostrato questi valori. Uno d quei personaggi che possiamo definire dei “luminari”. Un possessore di qualità fisiche, mentali e spirituali, tanto da avere l’ambizione, a differenza dei cinesi di quel tempo, di mostrare al mondo occidentale la bellezza della cultura cinese, disprezzando quel razzismo e quella mentalità ostile, dei suoi stessi connazionali.

Nato a San Francisco da una famiglia originaria di Hong kong, cresciuto poi a Hong Kong e a 18 anni ritornato a San Francisco, battezzato “Li Yuen Kam”, si ritrova a causa del suo carattere esuberante, a scontrarsi con la piccola criminalità giovanile.

Per questo decide di iscriversi alla prestigiosa scuola del grande maestro Ip Man e di imparare l’arte del Wing Chun. Da allora Bruce non abbandonò più lo studio delle arti marziali.

Trasferitosi in america, passando da San Francisco e poi a Seattle, nel 1962 Lee si laurea in filosofia all’Università di Washington, dove conosce la futura moglie Linda Emery, da cui avrà due figli: Brandon e Shannon

Attratto da qualsiasi disciplina da combattimento, Lee studiò Wing Chun assiduamente e per molti anni, ma si interessò anche ad altre arti, quali il pugilato occidentale e la scherma.

Lo studio di altre arti marziali, portò Bruce ad iniziare ad elaborare, un nuovo concetto di arte marziale. Essendo un innovatore, Lee studiò un sistema di combattimento, senza posizioni fisse, senza imposizioni di stile e senza movimenti fissi, dove le rigide tradizioni furono sostituite da quell’apertura mentale a 360 gradi che divenne il suo punto di forza.

Bruce chiamò il suo stile “Jeet Kune Do”, “Via del pugno che intercetta”.

Il suo allenamento includeva tutti gli elementi di fitness, forza e resistenza muscolare, resistenza cardiovascolare e flessibilità. Utilizzò le tecniche tradizionali del culturismo, per scolpire e aumentare la massa muscolare. Tuttavia, fu sempre attento a sottolineare l’importanza fondamentale della preparazione mentale e spirituale, per il successo dell’allenamento fisico e nella pratica delle arti marziali.

Le sue innovazioni furono talmente avanguardistiche, da inimicarsi, quei cinesi della vecchia guardia, ancorati a quelle rigide tradizioni marziali. I vecchi maestri, non videro di buon occhio le innovazioni di Bruce Lee, accusandolo di aver inquinato un’arte marziale con una tradizione millenaria alle spalle.

Lee si dedicò molto alle religioni, alla filosofia, alle arti da combattimento e agli scritti Jiddu Krishnamurti, documentando i metodi di allenamento che in seguito verranno raccolti nel suo libro “The Tao of Jeet Kune Do”.

Il 2 Agosto 1964, si tennero i campionati internazionali di Karate a Long Beach, dove Bruce tenne una dimostrazione teorica e pratica dei suoi concetti. Il produttore della serie televisiva “Batman e Robin”, William Dozier, casualmente si trovava tra il pubblico e colpito dalle eccezionali capacità fisice di Lee, lo scritturò per una parte nella serie “Il calabrone verde”. “Kato” e la sua maschera nera diventarono una leggenda; non dimentichiamo che a quei tempi l’arte del Kung fu Wing Chun era ancora poco conosciuta e le prestazioni di Lee sul grande schermo, lasciavano bocche spalancate ovunque.

Così inizio la carriera cinematografica di Bruce Lee; attraverso molte serie televisive, il suo nome iniziò a riecheggiare sia tra i produttori americani che in quelli orientali.

Lee interpretò il suo primo ruolo da protagonista ne “Il furore della Cina colpisce ancora” e successivamente, “Dalla Cina con furore”.

Ottenuta la celebrità nazionale, realizzò il famosissimo “L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente”, pellicola ricordata da tutti per il celebre combattimento con Chuck Norris all’interno del colosseo.

Nel 1973 ottenne il ruolo da protagonista nella pellicola firmata Warner Bros. “I tre dell’operazione drago”, film che lo consacrò come divo internazionale, per il quale fece anche da coreografo per le scene di combattimento. Il film fu il secondo maggior incasso della Warner Bros, dopo “L’esorcista” e consolidò l’immagine di Lee come leggenda delle arti marziali.

Le energie impiegate nella produzione de “I tre dell’operazione drago“, portarono Lee ad uno stress fisico incredibile, al punto da portarlo ad un primo malore, il 10 maggio del 1973. Venne trasportato in ospedale, dove gli fu diagnosticato un principio di edema cerebrale, causa anche di una disfunzione renale. Uscito dall’ospedale, Lee riprese i ritmi di lavoro per un nuovo film, “Game of death” che non vedrà  mai la luce.

Tre mesi dopo il primo malore, il 20 luglio del 1973, trovandosi ad una riunione di lavoro, Lee accusò una forte emicrania e gli fu data una pastiglia di “Equagesic“, un antidolorifico. Presa la medicina si addormentò senza più svegliarsi. 

Il verdetto dell’autopsia fu; “morte accidentale per un ipersensibilità al meprobamato”, ingrediente molto comune negli antidolorifici.

La morte di Bruce Lee è ancora oggi oggetto di discussione. Quando ci si trova di fronte ad un uomo diventato leggenda, automaticamente si creano ulteriori leggende sulla sua morte. In molti, ancora oggi sono convinti che Lee sia stato assassinato; forse per problemi legati alla malavita o ad altro. Per altri, i più creativi e fantasiosi, Bruce è stato assassinato dai maestri cinesi che lo accusavano di aver profanato le tradizioni del proprio paese.

Tante sono state le leggende, tra cui quella presente nel documentario “Bruce Lee – supercampione”, dove nella scena finale il regista spiega che Bruce, si è ritirato in un tempio buddista per allenarsi con i monaci e tornare un giorno ancora più forte.

La verità è che non sappiamo cosa sia potuto realmente accadere; non ci si spiega come, un uomo di un intelligenza superiore, non si sia fermato quando lo stress lo stava uccidendo.

Le figure come Bruce Lee, creano e lasciano sparsi nel tempo, legioni di allievi postumi. Il tempo passa, il mondo va avanti e nuovi idoli televisivi prendono il posto di quelli vecchi. Ma i personaggi come Bruce Lee, restano per sempre. Forse per il mistero che la loro morte lascia, oppure la giovane età in cui muoiono.

Le grandi leggende, ci hanno lasciato sempre da giovani, come se il loro intento fosse quello di lasciarci la loro migliore immagine, scolpita nella mente.

Nel caso Di Bruce Lee, abbiamo ricevuto una grande eredità sportiva, cinematografica e filosofica. Le sue innovazioni, sono state motivo di ispirazione per tutti i grandi maestri venuti dopo di lui. I suoi allenamenti, sono ancora usati oggi, anche da chi non pratica arti marziali.

La sua tomba, nel lotto 276 del Lake View Cemetery, a Seattle, dove giace accanto al figlio Brandon, è visitata da migliaia di persone tutto l’anno.

Il sogno di Bruce Lee era creare un eroe ricordato da tutto il mondo, proveniente dalla Cina. Realizzare questo sogno è stato per lui, un traguardo duro da raggiungere, considerato il razzismo che c’era negli anni sessanta in america, verso i cinesi.

Grazie alle sue capacità, raggiunse i suoi obiettivi e quando entriamo in un qualsiasi “kwon” di arti marziali, troviamo una foto di Bruce Lee appesa alla parete; questa, non può che essere la prova, del suo sogno diventato realtà.

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