Tra Unione europea e Regno Unito sembra sia stato raggiunto un accordo sulla Brexit. E Theresa May ottiene anche l’approvazione nel consiglio dei ministri. Ma l’intesa non piace a tutti. Soprattutto agli euroscettici.
Cosa prevede l’accordo
Come dichiarò Theresa May qualche mese fa, la Brexit si sarebbe fatta, ma a modo suo. Infatti, la bozza dell’accordo prevede molte concessioni all’Unione europea, facendo molti scontenti tra gli euroscettici, anche tra le file del suo partito.
Tra le concessioni: la Gran Bretagna rimarrà nell’unione doganale finché non sarà risolta la complicatissima questione del confine nord-irlandese. In particolare, rispetto al resto del Paese, l’Irlanda del Nord resterebbe ancora più legata all’UE perché entrerebbe a far parte di una sorta di mercato unico. Questa unione doganale sarà detta “Wide Custom Union“. Tra gli europeisti questo accordo è soprannominato “Turkey –“, ossia “Turchia meno”, perché ricorda un accordo simile che Ankara ha con l’UE, mentre nel Regno Unito lo chiamano “Swimming pool” regolabile, perché tramite questo accordo Gran Bretagna e Irlanda del Nord avrebbe un accordo più o meno profondo.
Questa situazione particolare per l’Irlanda del Nord sarà provvisoria, ovvero, finché non verrà trovata una soluzione più stabile e durevole, che impedisca una instaurazione di una frontiera dopo gli Accordi del Venerdì Santo del 1998, in un’area che mantiene ancora oggi una fragile pace. Di conseguenza, la bozza di accordo prevede la libera circolazione delle persone anche oltre il 2020 – cioè, dopo la fine del periodo di transizione che conduce il Regno Unito definitivamente fuori l’UE. Tuttavia, il problema principale di questo accordo è che l’Irlanda del Nord e il Regno Unito avrebbero due regimi diversi a tempo indeterminato – i favorevoli alla Brexit auspicavano che fosse limitato nel tempo – e le merci avrebbero due tipi di controllo diverso, in base all’aerea di appartenenza: mercato comune per l’Irlanda del Nord e unione doganale per la Gran Bretagna – e le merci dovrebbe necessariamente essere ricondotte nel Mar d’Irlanda.
In breve, secondo i critici, questo accordo spaccherebbe il Paese in due.
Inoltre, in questo modo Londra avrebbe anche le mani parzialmente legate sulle trattative commerciali con altri Paesi, per lo meno per quanto riguarda le regole tariffarie.
Le (numerose) critiche all’accordo
Ottimista la May, che dichiara “Ci riprendiamo il controllo del nostro denaro, dei confini e delle leggi“, e aggiunge “È una scelta tra questo accordo, o nessun accordo e nessuna Brexit“.
Tuttavia, una pioggia di critiche ha travolto la May che sembra scontentare quasi tutti.
I Brexiters temono che il Regno Unito possa diventare una sorta di “vassallo” – usando le parole di Boris Johnson – degli odiati burocrati di Bruxelles; gli unionisti irlandesi – dei quali la May ha bisogno dell’appoggio in Parlamento – temono che l’Irlanda del Nord possa subire un trattamento peggiore rispetto al resto dell’UK; i conservatori scozzesi cercano garanzie sugli accordi per la pesca; i laburisti hanno definito l’accordo un “fallimento“, promettendo opposizione nella Camera del Comuni; Nigel Farage, ex leader del partito nazionalista Ukip la definisce “il peggior accordo della storia“; persino gli europeisti non sono convinti e chiedono un nuovo referendum. Infine, il deputato Tory euroscettico Peter Bone prevede un disastro per Theresa May: “Perderai il sostegno di molti deputati conservatori e di milioni di elettori nel Paese“.
L’impresa (quasi) impossibile di Theresa May
Theresa May attende un’altra prova, quella più dura: il voto al Parlamento, dove molto probabilmente dovrà affrontare dimissioni di ministri o mozioni di sfiducia da parte di conservatori delusi.
Ciononostante, la May potrebbe avere l’appoggio di ribelli laburisti, su alcuni moderati conservatori e su quanti ritengono che, quando mancano meno di cinque mesi dall’uscita ufficiale dall’UE – il 29 marzo 2019 – il suo piano sia il male minore.
Michael Barnier, capo negoziatore dell’Ue per la Brexit, ha avvertito: “Ora tutti, da entrambe le parti, devono assumersi le proprie responsabilità“.
A questo punto, non basta che aspettare l’esito del voto a Westminster.
Domenico Di Maura