Viviana Filippini e il suo Brescia segreta. Luoghi, storie e personaggi della città (2015, Historica Edizioni) ci hanno appena guidato in un’impegnativa passeggiata lungo Via dei Musei. Stavolta, si cambia genere: approdiamo infatti al Vantiniano, il cimitero monumentale.
Esso si trova in via Milano, 17. Deve la propria esistenza al famoso editto di Saint-Cloud. Esso fu emanato da Napoleone il 12 giugno 1804; prevedeva che le tombe fossero poste fuori dalle mura cittadine, in punti soleggiati e arieggiati. Inoltre, le sepolture non avrebbero più dovuto sottolineare le distinzioni sociali e sarebbero state gestite da organi civili, anziché dal clero. La misura, oltre che un carattere ideologico, ne aveva uno igienico.
La Civica Rappresentanza di Brescia rispose all’editto di Saint-Cloud prendendolo alla lettera. Gli appezzamenti in via Milano furono acquistati dal Comune nel 1808; nel 1810, il vescovo Gabrio Maria Nava consacrò il nuovo camposanto. Nel 1815, l’architetto Rodolfo Vantini fu incaricato di migliorare l’aspetto del cimitero. Da lui, il luogo prese il nome.
Il progetto occupò la maggior parte della vita lavorativa di Vantini; ma ciò non gli impedì di occuparsi anche di altre opere. L’architetto disegnò la cosiddetta “Tomba del cane”; poi, cimiteri in provincia e palazzi signorili. Insegnava anche al Liceo Arnaldo e, a Rezzato, fondò una scuola di disegno e lavorazione della pietra per i cavatori di marmo. Del cimitero bresciano, però, Vantini seguì gli ampliamenti e le modifiche successive, fino alla sua morte (1856). Manco a dirlo, fu sepolto lì.
Il primo edificio a venire costruito nel 1815 fu la cappella, dedicata all’arcangelo Michele. Essa è a pianta circolare ed è sormontata da una cupola emisferica. Lo stile è classicheggiante, con pronao e colonne doriche. Non mancano nemmeno fregio e frontone.
Nel Vantiniano, prevale il marmo bianco; la struttura è omogenea, oltre che per colori, anche per tipologia di tombe (loculi singoli) e forme. Tra gli altri, a decorare il cimitero, fu invitato il bolognese Democrito Gandolfi. Tra le sue opere, vi sono tredici busti in cotto raffiguranti i santi bresciani e la statua dell’arcangelo Michele, posta sull’altare della cappella nel 1827. A ritratti di uomini illustri, invece, fu destinata una collocazione nella Rotondina Comunale, nella Cella VIII.
Gandolfi realizzò anche i leoni dormienti, ai lati dei gradini che portano al pronao, e due statue di donne in lacrime, note come “Dolenti”.
Ci voleva un ingresso adatto al tono del luogo. Davanti alla cappella, fu dunque creato un ampio spazio semicircolare verde, diviso in due ali da un vialone piantumato con cipressi. Venne poi la volta della cinta: Vantini realizzò portici, archi di trionfo, colonne e coperture a cupola, dove sarebbero state collocate tombe di famiglia.
Nel nucleo primordiale del cimitero, avente come punto di riferimento la cappella di San Michele, si può notare nel cortile interno un torre detta Faro. Nome e forma furono probabilmente ispirati a Vantini dall’antico faro di Alessandria. Era una luce protettiva per i defunti o un punto visibile per tutta la città? Di sicuro, lo notarono i berlinesi : a Tiergarten, il parco pubblico non lontano dal Reichstag, si trova la “Colonna della Vittoria” (1873), che celebra la sconfitta di Francia e Austria ad opera della Prussia. La Filippini non ha potuto fare a meno di notare la sua somiglianza col Faro vantiniano.
Sull’ideale strada per il cimitero monumentale, l’autrice ha posto un intervallo. Esso è dedicato alla Torre della Pallata. Essa fu costruita attorno al 1253, forse a difesa dell’allora Porta San Giovanni (poi spostata alla fine di corso Garibaldi). L’origine del nome è incerta. Naturalmente, l’edificio subì interventi successivi. L’orologio della facciata fu posto nel 1462. La merlatura in cotto e la torretta con cupola lavorata con zinco e munita di campane sono cinquecentesche.
La più famosa aggiunta alla Pallata è però la fontana alla base. Opera di Antonio Carra nel 1596, dietro coordinamento di Pietro Maria Bagnadore, porta in cima un’effigie della Città di Brescia. Essa è una figura femminile con cornucopia, a simboleggiare (forse) la ricca agricoltura della zona. Sotto, si trovano lo stemma cittadino e un’immagine maschile che ricorda un tritone, che regge conchiglie da cui sgorga l’acqua. Ai lati, vi sono le personificazioni di due fiumi bresciani, l Garza e il Mella. L’ispirazione di questi è chiaramente michelangiolesca.
La Pallata, nel XV secolo, era il punto di partenza di una gara di corsa per donne, che aveva per traguardo la Torre di Porta Bruciata. Nel 1497, per salutare l’arrivo di Caterina Cornaro, regina di Cipro, ai piedi della Pallata fu allestita una fontana che distribuiva vino. La torre fu teatro anche di un delitto: nel 1517, l’aristocratico Filippino Sala accoltellò l’umanista Carlo Valguglio, segretario di Cesare Borgia.
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Erica Gazzoldi