Stiamo terminando il nostro cammino con Viviana Filippini e il suo Brescia segreta. Luoghi, storie e personaggi della città (2015, Historica Edizioni). Dopo tanti monumenti e luoghi di cultura, l’autrice ci rinfresca con aneddoti e curiosità.
Il primo riguarda i santi patroni Faustino e Giovita. Originari di Brescia, furono martirizzati sotto l’imperatore Adriano nel II sec. La loro festa ricorre il 15 febbraio.
Il 13 dicembre 1438, la città si trovava assediata dalle truppe milanesi guidate da Niccolò Piccino, condottiero di ventura. Secondo la leggenda, in località Roverotto (a sud-est del Castello), comparvero sulle mura cittadine le immagini dei due santi, che respinsero le cannonate a mani nude.
Il 13 dicembre divenne così un giorno di festa. Esso è anche dedicato alla memoria di Santa Lucia. Per coinvolgere i bambini nella gioia generale, invalse l’usanza di lasciar loro regali durante la notte precedente, affermando che provenivano dalla santa.
“…ogni sera del 12 dicembre preparavo della paglia, o forse era fieno, per l’asinello. Perché? Per il semplice fatto che la tradizione invita da sempre i bambini a prendere il fieno per l’amico di Santa Lucia, qualcuno aggiungeva delle carote, che ricordo attaccate alle porte o alle finestre, nella speranza di avere qualche regalo in più. Poi, ogni piccoletto deve andare a letto presto, chiudere ben ben gli occhi e addormentarsi, qualcuno dice canticchiando le filastrocche dedicate alla santa. […] Accanto al cibo per l’asinello, preparavamo sempre una tazza per il caffè, il latte, lo zucchero e dei biscotti per Santa Lucia…” (Op. cit., pp. 277-278).
In zona San Faustino, si trova la Chiesa di Santa Maria del Carmine, vicino al Museo Nazionale della fotografia. Vi è custodita l’antica icona bizantina detta “Madonna di San Luca”, o anche “Madonna delle Brine”. Essa sarebbe giunta dalla Terrasanta nel 1478, grazie a fra Cristoforo Martignoni.
Il primo appellativo è dovuto all’attribuzione del ritratto all’evangelista Luca. Il secondo è legato a una leggenda popolare: esponendo l’immagine per tre giorni all’anno, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, tutti i raccolti bresciani sarebbero stati protetti dalle brine. Altre volte, il dipinto era esposto per impetrare la fine della siccità o delle piogge torrenziali.
Dalla Madonna protettrice, si passa a figure ben più profane, ma che danno comunque l’impressione d’avere vita propria. La Filippini le chiama “statue parlanti”: come il Pasquino romano, infatti, danno visibilità alla “voce del popolo”.
Una è la cosiddetta Lodoiga, attualmente situata sotto i portici di Palazzo Loggia. In origine, si trovava davanti all’ultimo pilastro a sinistra affacciato sulla piazza. La sua collocazione nel cuore amministrativo della città non è casuale. Su di essa, infatti, venivano appiccicati fogli anonimi con critiche e commenti all’amministrazione. Tutto ciò a fianco della “pietra del bando”, dalla quale gli oratori parlavano alla folla.
Non si hanno certezze sulla paternità della Lodoiga. Essa avrebbe dovuto essere un’allegoria della Fede, parte di un ciclo a tema sacro. Il suo nomignolo sarebbe una versione dialettale di “Ludovica”: forse, ispirato a quello della poetessa bresciana Lodovica Fè d’Ostiani (1736-1814), nota per la sua schiettezza.
Lo humour popolare vuole che la Lodoiga sia in costante battibecco con “Tone e Batista”, i Macc dè le ure: le statue bronzee che suonano la campana sull’orologio della piazza. I due sarebbero i difensori delle autorità comunali.
Ci spostiamo ora in Via Trieste. Qui, all’incrocio con Via Agostino Gallo, si trova una statua dorata rappresentante un bue. Esso, appunto, è el bò d’or, “il bue d’oro”. D’autore anonimo, risalirebbe alla metà dell’Ottocento.
Esso indica forse un’effigie bovina in oro massiccio, sepolta nelle vicinanze. O un animale sacro, dato che non è lontanissimo il tempio precristiano del Capitolium. Oppure, l’insegna d’un macellaio del XIX sec.: meno poetico, ma più probabile.
Dal bue d’oro, passiamo alla Tomba del cane. Essa si trova sui colli noti come “Ronchi”. Fu costruita per volontà del commerciante Angelo Bonomini: nel suo testamento (fine degli anni ’30 dell’Ottocento), la richiedeva per sé e per il socio Giuseppe Simoni. Per realizzarla, fu scelto, nel 1855, il progetto di Rodolfo Vantini: sì, proprio l’architetto del cimitero monumentale.
La Tomba del cane è costruita in marmo di Botticino e in stile neogotico. Il nome con cui fu nota dapprima era “Monumento Bonomini”, per ovvie ragioni. Però, la traslazione delle salme nel sepolcro sul colle fu bloccata dal Comune. Non si conosce il motivo del divieto.
E il cane? Esso è protagonista di una serie di leggende legate alla tomba. Una vuole che l’animale abbia salvato una ragazza dalle violenze di un ufficiale austriaco; ucciso a pistolettate, il fedele amico sarebbe stato sepolto in loco. Oppure, il cane sarebbe stato quello dei Bonomini. O ancora: che la tomba sia stata chiamata così… perché in essa non c’è neppure un cane?
Erica Gazzoldi