Nonostante le stereotipate apparenze, la comunità LGBTQIA+ in Brasile è estremamente discriminata. La cultura machista sudamericana e, soprattutto brasiliana, è ben nota e il governo Bolsonaro non ha fatto che esasperare la situazione. Non è un caso che il presidente Lula, particolarmente attento a tematiche ambientali e sociali, abbia voluto istituire il Consiglio Nazionale per i diritti LGBTQIA+. Organo esplicitamente preposto alla tutela della comunità arcobaleno.
Il Consiglio Nazionale per i diritti LGBTQIA+
Il Consiglio Nazionale per i diritti LGBTQIA+ sarà composto da 38 membri: 19 saranno rappresentanti della società civile mentre gli altri 19 saranno i rappresentanti dei vari ministeri del governo. Il suo obiettivo è quello di elaborare e suggerire al governo azioni e misure concrete per la tutela dei diritti della comunità. Inoltre si occuperà di promuovere e sensibilizzare la società attraverso studi, dibattiti e ricerche oltre che di sostenere campagne per la promozione e la difesa dei diritti della comunità arcobaleno.
Il Consiglio sarà sotto giurisdizione del Ministero dei Diritti Umani e della Cittadinanza ed è stato fortemente voluto dal presidente Lula in persona. Lula infatti aveva già istituito un organismo simile durante il suo primo mandato, era il 2010 e venne denominato Consiglio federale LGBTQ+. Però rimase operativo soltanto fino al 2018, quando il nuovo presidente Bolsonaro smise di convocarlo. Il 7 aprile 2023, Lula, di nuovo presidente, ha ribattezzato questo consiglio in Consiglio Nazionale per i diritti LGBTQIA+.
A guidare il Consiglio è Symmy Larratt, nominata Segretario Nazionale per la Promozione e Difesa dei Diritti delle Persone LGBTQIA+. Femminista e attivista è la prima transgender a ricoprire un ruolo istituzionale e ha già proposto un vasto programma di politiche a tutela della comunità arcobaleno.
Il Brasile è considerato il pioniere mondiale per la tutela dei diritti della comunità ma resta ancora tanto da fare. Le persone LGBTQIA+, infatti, sono ancora pesantemente discriminate e la situazione è peggiorata soprattutto a seguito del nuovo clima omofobico deliberato dall’ex presidente Jair Bolsonaro, noto per le sue posizioni conservatrici e di chiusura nei confronti delle persone della comunità LGBTQIA+.
Breve storia dei diritti LGBTQIA+ in Brasile
- 2004: vengono legalizzate le unioni civili tra persone dello stesso sesso.
- 2008: prima conferenza nazionale organizzata dal governo brasiliano sotto il presidente Lula sui temi e i diritti LGBTQIA+.
- 2009: il governo dà la possibilità a ogni cittadino in ogni parte del Pese di esprimere liberamente la propria identità di genere e, eventualmente, di cambiarla.
- 2010: la Corte superiore di giustizia legalizza l’adozione di bambini da parte di coppie omogenitoriali. Successivamente la nozione di famiglia viene laicizzata e l’istituzione matrimoniale ridefinita.
- 2014: il Consiglio Nazionale del Brasile legalizza definitivamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso in tutto il Pase.
- 2018: la Corte suprema brasiliana stabilisce che le persone transgender possono legalmente cambiare sesso senza necessariamente sottoporsi a chirurgia, terapia ormonale o diagnosi medica.
- 2019: la Corte suprema dichiara reato la discriminazione basata sull’orientamento sessuale.
Seguono poi anni bui per la comunità LGBTQIA+, anni di dure discriminazioni e violenze. Basti pensare che tra le prime mosse del presidente Bolsonaro nel 2019 c’è stata l’abolizione del Dipartimento della diversità che si occupava della tutela dei diritti di tutte le minoranze, arcobaleno compresa. Ma con il ritorno del presidente Lula e l’istituzione del Consiglio nazionale per i diritti LGBTQIA+, sembra che le cose possano nuovamente cambiare.
L’importanza del Consiglio Nazionale per i diritti LGBTQIA+
L’istituzione di questo Consiglio si è resa necessaria ai fini di tutelare una minoranza estremamente discriminata. Il Brasile non è solo il Paese più all’avanguardia per i diritti arcobaleno. Sull’altro piatto della bilancia, infatti, c’è l’altissimo tasso di discriminazione e violenza nei confronti delle persone che fanno parte della comunità. Un dato per tutti: nel 2022 ci sono stati 256 omicidi a sfondo omofobico (cioè una vittima ogni 34 ore).
La situazione in Italia
Il Brasile quindi, per quanto riguarda l’attenzione ai diritti LGBTQIA+, è un esempio da seguire. Mentre non vale lo stesso per quando riguarda la questione dell’omofobia anche perché, a riguardo, ce la caviamo piuttosto bene anche da soli.
In particolare, in un Paese come il nostro, sarebbe cosa buona e giusta svecchiare il concetto di famiglia tanto caro alla matrice cattolica su cui, volenti o nolenti, si fonda l’Italia e tanto caro anche alle destre italiane.
Idea talmente cara che il nuovo governo Meloni ha da subito istituito il Ministero per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità la cui ministra, Eugenia Maria Roccella, mette a curriculum, quasi come dichiarazione di innocenza, “nata a Bologna, è sposata e ha due figli”. Nozioni sicuramente secondarie ai fini di trovare un lavoro ma decisamente significative dal punto di vista propagandistico. Ministra che è stata peraltro portavoce del primo Family day (2007). Manifestazione in aperta opposizione all’estensione dei diritti civili alle coppie omosessuali e promosso da attivisti di matrice cattolica che si battevano in nome della difesa della famiglia “naturale” e tradizionale, rigorosamente composta da padre, madre e almeno un figlio.
Inoltre, rispetto al Brasile, in Italia:
- Le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono legali solo dal 2016, mentre il matrimonio non è previsto.
- Non esistono leggi nazionali contro le discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere. Il famoso DDL Zan è stato l’ultimo tentativo in merito alla questione, ed è miseramente naufragato sollevando dibattiti incredibilmente accesi.
- L’Italia, infine, si colloca al 33° posto in Europa (su 49) per i diritti delle persone LGBTQIA+.