Nel 1990 la BBC trasmette la prima stagione di Masterchef, un talent di cucina pensato e realizzato da Frank Roddam e destinato a diventare, a partire dal 2005, il programma culinario più famoso del mondo, iproposto con – più o meno – lo stesso format da Australia, USA, Uk, India, Italia, Spagna, Canada e Filippine.
E’ sempre il Regno Unito la patria del programma di pasticceria amatoriale The Great British Bake off, più semplicemente conosciuto come Bake Off UK e riproposto in Italia su Realtime con la conduzione di Benedetta Parodi e i giudizi pasticceri di Ernst Knam e Clelia d’Onofrio.
La diffusione ed il successo di questi programmi è immensa. Chiunque sa di chi si sta parlando quando si nomina Joe Bastianich, e, se non per il fatto di essere un giudice di Masterchef sin dalla prima edizione, per l’esilarante imitazione di Maurizio Crozza.
Ai miei tempi, e parlo di una decina di anni fa o poco più, l’unico programma di cucina di cui si sentisse parlare in Italia, (ma di cui parlavano soprattutto le nonne) era La Prova del Cuoco, in onda su Rai uno tutti i giorni alle 12. Poi sono arrivati i Menù di Benedetta su Mediaset e Cuochi e Fiamme su La7.
La cucina, e parlo di una cucina di alto livello, con una ricercatissima scelta di ingredienti e abbinamenti arditi,
spesso al limite dell’immaginabile, è diventata un fenomeno pop di cui riesce agevolmente a parlare anche chi una padella sul fuoco non l’ha mai messa.
Per questo e per l’immensa diffusione che la passione per la cucina sta avendo (si consideri anche la fortuna del geniale supermercato d’elite di Oscar Farinetti, meglio conosciuto come Eataly), i fornelli sono arrivati anche sul grande schermo e, insieme con loro, i magnetici occhi blu di Bradley Cooper.
Il segreto del successo o “Burnt” in lingua originale, di John Wells, racconta di uno chef stellato che ha l’ambizione mista ad un forte desiderio di rivalsa, di prendere la terza stella Michelin. Per fare ciò, mette insieme una squadra di cuochi (con Omar Sy, Riccardo Scamarcio, Sienna Miller), con i quali era solito cucinare prima di andare in esilio volontario a New Orleans.
Il film mostra ambienti minimali ed elegantissimi dove si preparano piatti sotto vuoto, ritmi forsennati in vere e proprie cucine da incubo, composizioni culinarie su servizi di ceramica e fiori decorativi.
Mi sono chiesta cosa spinga milioni di spettatori a guardare anno dopo anno le stesse dinamiche dei talent di cucina e ad ascoltare le stesse critiche umilianti di giudici poco sensibili su concorrenti agguerriti. Mi sono chiesta perché il film con Bradley Cooper mi sia piaciuto tanto, sebbene non racconti una storia particolarmente coinvolgente se si esclude il sentimento di rendenzione mista a follia che anima gli scatti d’ira del protagonista e che lo rendono interessante.
La risposta che mi sono data è che la cucina non è più soltanto semplice veicolo di nutrimento, ma è diventata una forma d’arte, qualcosa di bello e ammirabile con tutti e cinque i sensi insieme. Diventa l’aroma di alimenti serviti come espressione artistica tramite un ricercato impiattamento, diventa gusto e tatto estremi che si fondono nell’assaggio. Diventa non solo un condividere di bellezza e gusto, ma anche un inesauribile argomento di conversazione.
D’altronde, nove volte su dieci, il sabato sera a cena con gli amici, si finisce sempre a parlare dell’esperienza gourmet che abbiamo fatto durante la settimana e dei locali nuovi e ricercatissimi che hanno appena aperto e nei quali abbiamo avuto la fortuna di aver già cenato.
Mi sembra che di quel panem et circenses che distraeva i sudditi dalla fine dell’impero romano, i tempi non siano poi cambiati così tanto.