Intensa l’attività dei Carabinieri Forestali lungo il Delta del Po per contrastare il bracconaggio ittico. Scattate 11 denunce e il sequestro dei mezzi utilizzati per la pesca illegale.
Coordinate dal Reparto Operativo SOARDA (Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati in Danno degli Animali), le Forze dell’Ordine hanno portato a termine un’operazione delicata contro il bracconaggio ittico. Il WWF si congratula dunque con i Carabinieri Forestali per aver colto in flagranza di reato, presso le località di Occhiobello e Taglio di Po (Rovigo), gli 11 soggetti denunciati.
L’ipotesi di bracconaggio ittico
Fino a circa dieci anni fa questo fenomeno era praticamente sconosciuto in Italia. Con l’utilizzo di reti a tramaglio, di elettrostorditori e sostanze chimiche di varia natura, venivano catturate grandi quantità di pesci dalla criminalità organizzata. Nel tempo le numerose segnalazioni hanno poi portato all’arresto di più persone, soprattutto di nazionalità straniera. Tuttavia, ancora oggi si verificano molti episodi, come dimostrano gli ultimi interventi dei Carabinieri.
Dal Danubio al Po
Nel 2012 la Romania adottò una serie di misure coercitive per tutelare il Delta del Danubio, sicché il problema fu quasi eliminato in un’area ormai gravemente colpita dal bracconaggio ittico. Tuttavia, una delle maggiori conseguenze di questo miglioramento è stata lo spostamento della pesca illegale sul Delta del Po, poiché nelle sue acque si trovano delle specie simili e dunque appetibili per il mercato estero.
Di origine prevalentemente rumena, albanese, moldava e ungherese, i pescatori illegali sfruttano spesso le regolari rotte commerciali per trasferire la merce dall’Italia in tutta Europa. In genere, hanno una struttura organizzativa efficiente, che rispecchia quella dei clan familiari, basata su una gerarchia piramidale.
Un business redditizio
Il pescato, privo di controlli sanitari, alimenta un giro d’affari da oltre 20.000 euro a settimana, con guadagni superiori ai 4-5 mila euro al mese. Dunque si tratta di un mercato appetibile, che coinvolge trasversalmente anche altre realtà; ad esempio, c’è il problema dei furti di barche e motori, la cui frequenza è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni.
Un rischio per la salute pubblica
Il pesce, venduto prevalentemente all’estero ma anche in Italia, non è tracciato né controllato e, infatti, c’è un rischio elevato di contaminazione oltre i valori soglia. Inoltre, il trasporto avviene spesso in condizioni igienico-sanitarie non conformi alle disposizioni del Regolamento europeo e in furgoni non predisposti a questo tipo di mansione.
I danni all’ecosistema
L’impatto antropico lungo il fiume Po è aumentato nel tempo per ragioni diverse, che vanno dallo sviluppo urbano a quello industriale nelle aree limitrofi. In conseguenza di ciò, gli habitat fluviali sono stati alterati, compromettendo in più occasioni i delicati equilibri ecosistemici. A tal proposito, è stato osservato un impoverimento della biodiversità autoctona a favore delle specie aliene introdotte per ragioni diverse, ma soprattutto economiche.
Attualmente si registrano circa 40 specie alloctone nel Po, di cui quasi la metà classificate come invasive, poiché esercitano una pressione importante sulle locali in termini di competizione e predazione. Le zone più colpite dal fenomeno sono le acque interne delle province di Venezia, Padova, Rovigo, Mantova, Ravenna e Ferrara, nelle quali ci sono aree soggette ad un vero e proprio saccheggio di specie ittiche.
Il problema del pesce siluro
Vive ormai nel Po da 50 anni ed è stato volutamente introdotto dal Danubio per interessi economici. Si tratta di una specie, il Silurus glanis, invasiva e predatrice, colpevole di aver provocato “danni incalcolabili alla fauna ittica autoctona che, in alcune zone del Po, è praticamente scomparsa”. Per arginare il problema, dal 2019 la regione Lombardia finanzia dei progetti di contenimento del pesce siluro. Tuttavia, se, da un lato, tale iniziativa è stata accolta positivamente, dall’altro incentiva il bracconaggio ittico. Infatti, i pescatori illegali si mimetizzano tra gli autorizzati e predano i pesci con mezzi non autorizzati che, non selettivi, sono potenzialmente pericolosi per tutta la biodiversità fluviale.
Il bracconaggio ittico nella giurisprudenza
L’art. 40 della Legge 154/2016 ha introdotto il reato di bracconaggio ittico e definisce chiaramente il concetto di pesca illegale, identificando anche tutte le condotte di pesca vietate nelle acque interne. Tuttavia, al fine di arginare ancor più il fenomeno, è necessario inasprire le pene verso i bracconieri, come già proposto in Parlamento.
Se poniamo a confronto il fiume e la roccia, il fiume vince sempre non grazie alla sua forza ma alla perseveranza.
L’impatto antropico ha avuto effetti importanti sugli ecosistemi fluviali, soprattutto sulla biodiversità. Infatti, da tempo le regioni attuano dei progetti di monitoraggio delle aree, affinché siano debitamente riqualificate e tutelate, dopo anni di totale disinteresse.
La strada è ancora lunga e gli obiettivi da raggiungere richiedono un intervento mirato e diretto delle istituzioni, affinché i colpevoli siano debitamente puniti. Tuttavia, sarebbe opportuna anche una maggiore sensibilizzazione dell’utenza che, se opportunatamente informata, può aiutare a contrastare un fenomeno locale, ma di interesse nazionale.