A Rosarno si dà la ‘caccia ai neri’: i braccianti vengono bastonati e investiti

Una protesta dei braccianti di Rosarno a Roma.

braccianti picchiati e investiti a rosarno
Una delle fabbriche abbandonate di Rosarno.

A Rosarno una banda di ragazzi giocava a fare “caccia ai neri”: a bordo di una Fiat Punto targata DH510MV, 4 giovani italiani (di cui tre minorenni), uscivano di sera muniti di bastoni. Quando incontravano un migrante, l’auto rallentava e si avvicinava al ciglio della strada, uno dei quattro abbassava un finestrino e dava una randellata allo sfortunato di turno, che a bordo di una bici tornava dai campi in cui sudava tutto il giorno. Dov’era diretto? A casa, o meglio, in una baraccopoli che è diventata una casa per lui e per altri 2500 migranti che lavorano come braccianti nelle campagne della città di Rosarno. La storia è risaputa: già nel 2010, la Piana di Gioia Tauro era finita su tutti i giornali e sulle reti nazionali a causa della protesta messa in atto da centinaia di lavoratori stranieri, che venivano sfruttati per la cura dei campi e vivevano all’interno di una fabbrica fatiscente.




Migranti bastonati e investiti dagli italiani

Tra le vittime di queste ronde anti-migranti vi sono:

Seba Traore, nato in Mali il 4 ottobre 1990; Isaka Yanogo, nato in Burkina Faso il 13 ottobre 1987; Idriss Yoada, nato in Costa d’Avorio il 2 marzo 1985; Kone Nouhoum, nato in Mali l’8 marzo 1984; Salifou Ganakini, nato in Burkina Faso il 1° gennaio 1973; Woude Keuta, nato in Mali il 6 giugno 1994.

Le ferite da loro riportate sono per lo più fratture scomposte e nasi rotti, ma ci sono anche stati traumi celebrali con «temporanea perdita di coscienza». Purtroppo a qualcuno è capitato di peggio, come a Saliu Ba, nato in Senegal il 10 marzo 1981: «Quattro ragazzi di età giovanile, dopo essere scesi dal mezzo, lo colpivano armati di catene, bastoni, coltelli».

Questo è quanto riportato da Barbara Borelli, Giudice delle indagini preliminari, nell’ordinanza di custodia cautelare. Ma l’antefatto risale allo scorso anno, il 22 ottobre del 2017, i carabinieri della compagnia di Gioia Tauro avevano effettuato un mandato di arresto emanato dalla procura di Palmi nei confronti di quattro ragazzi italiani per molteplici aggressioni «con l’aggravante di aver commesso il fatto per finalità di discriminazione e odio razziale».




Baraccopoli e degrado

Il centro di tutto è una baraccopoli situata nel mezzo di una zona industriale ormai abbandonata, a metà strada tra i comuni di San Ferdinando e Rosarno. Questa baraccopoli è il rifugio di 2500 braccianti che stanno in mezzo alle pozzanghere e ai loro stessi rifiuti, privi di acqua potabile, privi di bagni, ma con la forza di andare comunque avanti. Il sindaco di Rosarno, Giuseppe Idà, sostiene che: «solo il 10%» dei braccianti è irregolare, mentre il mediatore culturale Mamadou Dia, della Ong Medici per i diritti umani, afferma che «praticamente tutti» lavorano in nero. E questo avviene davanti agli occhi di chiunque, ma nessuno sembra curarsene così come nessuno si preoccupa della violenza che i ‘bianchi’ infliggono ai migranti. Adesso ci sono le forse dell’ordine a sorvegliare su questa baraccopoli: polizia, carabinieri e guardia di finanza controllano il perimetro di questa ‘città fantasma’.

La tendopoli in cui è morta bruciata Becky Moses.

Questa sembra essere una terra maledetta per i migranti: nel 2010 le rivolte di quanti venivano sfruttati nell’agricoltura, a gennaio la morte della ventiseienne nigeriana Becky Moses, bruciata dalle fiamme divampate nelle baracche. Quelle che non sono state distrutte dall’incendio sono tutt’ora occupate: una sorta di villaggio con due chioschi di alimentari, la chiesa cristiana dell’Unione Africana e le tende dove vengono riposte le biciclette, usate dai braccianti per spostarsi. Più in là, vi è una cancellata che divide questo ‘villaggio’ da un capannone che offre riparo ad altri 400 migranti. In passato lo gestiva l’associazione umanitaria Augustus, ma poi la convenzione è scaduta per motivi economici e tutto è andato in rovina.

Vi sono diverse baraccopoli, così come sono numerose le fabbriche abbandonate riconvertite in alloggi per centinaia di braccianti; una delle responsabili di Emergency, Alessia Mancuso, descrive così il fenomeno:

«È la situazione più difficile di sempre. Il numero di persone è aumentato. Molti lavoratori stagionali restano qui tutto l’anno. Ecco perché soffrono di malattie respiratorie e problemi legati al fatto che non hanno nemmeno l’acqua potabile. Il clima politico non aiuta. Siamo preoccupati. Aspettiamo di capire».

Odio razziale

Proprio Emergency ha un ambulatorio medico a Polistena, dove i migranti vengono condotti su dei pulmini. Purtroppo l’arresto dei quattro ‘cacciatori di neri’ non ha posto fine agli attacchi contro i bracianti.

«Sono almeno trenta i ragazzi investiti da automobilisti che non si sono fermati. È questo che ci raccontano quando vengono soccorsi».

Si capisce dunque a cosa fossero dovute le rivolte dei migranti a Rosarno: non c’è solo il duro lavoro nei campi da sopportare, ma anche il pericolo che qualcuno li investa di proposito.

«Il mio amico era andato in bici a San Ferdinando per chiedere la carta di identità. L’hanno investito. Così non va bene, basta, deve finire. Guarda: è tutto fasciato».




Vincenzo Alampi, direttore della Caritas, non usa mezzi termini:

«Posti come questo non devono più esistere. È un ghetto. Non si può chiamare in un altro modo. Ma loro non sono persone di quarta serie, sono una ricchezza per questa terra, l’agricoltura morirebbe senza i migranti. Io mi auguro che la politica capisca. Infierire sarebbe la cosa peggiore».

Ma perché un gruppo di giovani ragazzi dovrebbe investire un migrante incontrato così, per caso, mentre torna dal suo faticoso lavoro? La risposta l’ha fornita uno dei ‘cacciatori’ stessi, durante una conversazione telefonica con suo padre:

«Scusa, mi trovo i neri in mezzo ai coglioni, alcuni camminano a bordo strada, altri sull’altro lato. Tu che fai?».

E il padre: «Ma tu ti sei fermato?».

«No, non mi sono fermato, ho continuato, che me ne fotte di quelli».

Ecco, appunto, “che ce ne fotte di quelli?” Tanto sono ‘neri’, lavorano come muli per pochi euro al giorno e se muoiono non importa a nessuno, anzi qualcuno in meno da mantenere, perché non ci abbiamo pensato prima a giocare a bowling con loro? I braccianti sono i birilli e la macchina con cui li investono la palla: ottimo come metodo per risolvere l’emergenza migranti.

Carmen Morello

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