In Italia la schiavitù esiste ancora. A pagarne le conseguenze fu Petrit Ndreca, bracciante extracomunitario morto mentre lavorava in nero. La verità viene a galla dopo più di un anno
Per molti può sembrare un film dell’orrore o una storia successa in un altro pianeta. Invece no, tutto accadde in provincia di Viterbo, per l’esattezza, a Ischia di Castro. Il 7 giugno 2019. La vicenda vede l’ennesimo caso di sfruttamento ai danni di un bracciante extracomunitario, Petrit Ndreca, morto sul lavoro, ma abbandonato in mezzo alla strada dai familiari, sotto minacce dei titolari dell’azienda in cui lavorava in nero, in pessime condizioni. Questi ultimi temevano le ripercussioni giudiziarie che la vicenda avrebbe avuto sull’azienda agricola di loro proprietà. Un altro caso di insensibilità davanti alla morte di un migrante. Oggi, a distanza di un anno e mezzo, le indagini condotte dal Sostituto Procuratore di Viterbo, Stefano D’arma, sciolgono ogni dubbio e si procede con 4 arresti.
La falsa versione dei fatti del cognato di Ndreca
Petrit Ndreca, 44 anni, cittadino albanese, lavorava presso un’azienda agricola di proprietà di una famiglia di origini sarde. Non aveva il permesso di soggiorno, quindi era stato assunto irregolarmente. Il bracciante extracomunitario, a detta del cognato, è morto per un malore durante un viaggio in auto. Il suo cadavere, infatti, si trovava nei pressi di Ponte San Pietro, al confine con la Toscana. Tuttavia, la dichiarazione del cognato di Ndreca è falsa. Infatti, la sua versione presentava non poche stranezze: i soccorsi sono stati avvisati in ritardo, inoltre, all’arrivo del 118 e delle autorità, sul posto erano già presenti i due noti titolari dell’azienda agricola. Come mai il parente ha mentito? Perché trasportare il corpo senza vita dell’albanese in mezzo alla strada?
Le indagini volgono al termine, il bracciante extracomunitario è morto, forse a causa dello sfruttamento
Dopo ben diciotto mesi, si è giunti finalmente alla vera versione dei fatti. Le indagini hanno ricondotto la vicenda al contesto dello sfruttamento della manodopera da parte dai datori di lavoro di Petrit Ndreca, in parole povere, il bracciante extracomunitario è morto a causa della fatica.
I titolari, spaventati dalle conseguenze delle numerose assunzioni irregolari e delle miserabili condizioni lavorative a cui erano sottoposti i dipendenti, hanno cercato di occultare le prove. Qui subentra il ricatto ai danni della famiglia, che non ha nemmeno avuto il tempo di piangere il proprio congiunto. I datori di lavoro, come confessato in seguito, hanno costretto il cognato di Ndreca a caricare il corpo del parente in auto per allontanarlo il più possibile dell’azienda, trattandolo alla stregua di una carcassa di pecora.
Il caso Ndreca smaschera l’ennesima fattoria degli orrori
Il caso del bracciante extracomunitario, morto di fatica mentre lavorava in nero, ha fatto sì che tutta la verità venisse a galla, anche riguardo alle condizioni disumane in cui gli operai della ditta erano costretti a lavorare.
È stato accertato, infatti, che altri 17 dipendenti si sottoponevano a turni massacranti, dalle 9 alle 17 ore giornaliere con solo un’ora e mezza di pausa pranzo. Il compenso era di appena 1,16 euro per ogni ora di lavoro prestata, a fronte degli 8 euro previsti dal contratto nazionale.
La ditta, inoltre, è stata sorpresa a violare tutte le norme relative alla sicurezza, al riposo, alle ferie. Alle accuse si aggiunge anche l’evasione fiscale per oltre 87 mila euro. Sotto accusa non ricade solo l’azienda teatro della vicenda del bracciante extracomunitario morto, ma altre 4 aziende appartenenti alla stessa holding familiare. Della suddetta famiglia di aguzzini, in 4 si trovano attualmente agli arresti domiciliari. Mentre tutte le aziende a loro riconducibili sono state sottoposte a controlli giudiziari da parte del G.I.P.
Silvia Zingale