Bossi condannato ma comunque premiato dallo Stato italiano

Umberto Bossi Lega nord condannato

Uberto Bossi e suo figlio ad un raduno della Lega Nord.

Umberto Bossi non è più il leader della Lega Nord, il cui comando è passato a Matteo Salvini; ma ciò non toglie che lui possa comunque ricandidarsi, nonostante una condanna a due anni e due mesi a causa di una maxi truffa allo Stato sui rimborsi elettorali. Ecco cosa stabilisce la sentenza ed ecco perché il Senatur non la sconterà.




La sentenza

A luglio del 2017 era stata emanata la sentenza con cui Bossi è stato condannato in primo grado, assieme all’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito (quattro anni e dieci mesi) e altri cinque imputati. Nello specifico, l’accusa rivolta a Bossi è quella di aver adoperato i soldi della Lega Nord (provenienti dalle casse dello Stato) per questioni familiari. La situazione era così grave che il Senatùr ha rischiato il sequestro dei conti correnti. È stato fatto ricorso in Cassazione e l’udienza è fissata per il prossimo 12 aprile (dunque dopo le elezioni del 4 marzo). I giudici del Tribunale del riesame di Genova hanno stabilito che «il quinto della pensione da europarlamentare di Umberto Bossi “può essere sottoposto a sequestro anche in futuro”», mentre il suo vitalizio è immune da sequestro e pignoramento. Ma può un quinto della pensione da europarlamentare dell’ex leader del Carroccio risarcire tutti i soldi sottratti allo Stato italiano? Assolutamente no. Lo scorso anno i giudici avevano stabilito la confisca di ben 49 milioni di euro, ma lo Stato non avrà nulla.




Perché Bossi e la Lega non risarciranno lo Stato

Umberto Bossi è candidato al Senato in un collegio della Lega Nord in cui è impossibile che non venga eletto, quello di Varese. Dunque, quando andrà un’altra volta a Palazzo Madama, al Senatùr verranno sospesi sia il vitalizio da ex parlamentare che la pensione da parlamentare dell’Unione Europea. Perciò, lo Stato non avrà alcun fondo da cui attingere per il suo risarcimento; mentre Bossi avrà diritto allo stipendio da senatore, non pignorabile. Ironia della sorte: è stato condannato per aver usato a scopi personali il denaro pubblico dello Stato ed ora proprio dallo Stato riceverà un trattamento migliore, ossia più soldi di prima. Insommma, una vera e propria beffa sia all’Italia che agli italiani. Ma non c’era modo di evitare che accadesse? Assolutamente sì. Come? Non lasciando che Bossi si candidasse alle politiche del 2018, ma nessuno gliel’ha impedito e lui ora potrà godere dei soldi pubblici e farsi beffe di tutti noi. Ma la cosa più assurda è che in tutto questo non c’è nulla di illecito, anzi tutto sta avvenendo nel rispetto della legge, quella che Bossi ha infranto e che, malgrado una condanna, non potrà fargli scontare nessuna pena.




Le solite cose all’italiana

Insomma, ci risiamo: ennesimo caso di politico indagato, giudicato, condannato e poi ri-eletto e mantenuto a spese dei contribuenti che farebbero volentieri a meno di sostenere una classe politica di delinquenti. Berlusconi, Bossi, Formigoni, gli “impresentabili” del Pd, i pentastellati che non sono da meno, Salvini che incita all’odio razziale (ma poi rinnega tali accuse): ecco un breve riassunto delle solite cose all’italiana. Ma perché non si stabilisce che per chi è indagato e condannato (anche in via definitiva) è prevista la preclusione alla candidatura e l’esclusione da qualsiasi carica politica? Non sarebbe molto più semplice “tagliare la testa al toro” una volta per tutte? Gli italiani sono sempre più nello sconforto: se i candidati sono incandidabili, chi potrebbe meritare un voto? Ossia, chi è il meno peggio degli “impresentabili”?

Carmen Morello

Exit mobile version