“Borrowed time”, la storia di un cuore

Raccontare una storia è l’essenza primaria di un qualunque essere umano sia desideroso di elidere un qualcosa di estremamente grumoso e pesante, che risuona nella cassa toracica da tempi immemori.

E’ il desiderio di depennare quel nodo alla gola, simile alla palla di pelo dei gatti.

Non è sufficiente riempirsi la pancia di erba.

Serve di più, per riuscire ad eruttare quel rigurgito di vita, che ci permetta di tornare a vivere.

Raccontare una storia è emozione, ossessione, libertà, orgoglio, desiderio, incanto e meraviglia.

Una storia non si racconta solo a parole. Il brivido di una storia può arrivare attraverso qualsiasi canale, utilizzando ogni strategia possibile. Emozione, turbamento, palpitazione, libertà.

storia

E’ il calore di una storia, la nostra libertà.

E’ drammatico e imbevuto di toni cupi e maturi. E’ il soffio di un vento bastardo, che sradica da terra le nostre fragili anime, e si trascina dietro anche il ricordo.

E’ lui a parlare, a raccontarci una storia struggente, glaciale, eppure ancora calda, viva, nella memoria del protagonista.

(“Borrowed time” cortometraggio_ https://www.youtube.com/watch?v=uJcHPK3AEfU)

“Borrowed Time”, il tempo regalato, è il nuovo progetto curato da due animatori della Pixar, Hamou-Lhadje e Andrew Coats.

Sono 5 minuti intensi di un cortometraggio che colpisce dritto alle ginocchia, facendoci crollare supini, con il volto coperto di polvere.

Non sono i 5 minuti che vediamo noi, carichi di tensione e souspance, ma l’intera vita del ragazzo, che porta nel cuore la stretta di un padre, che dalla polvere non si è mai più rialzato.

Un ragazzo a cui è stata concessa la possibilità di crescere, diventare adulto, con il peso di un qualcosa di estremamente grumoso e pesante, che gli risuona nella cassa toracica, da tempi immemori.

E’ una colpa; inalienabile, indicibile, massacrante.

Un’idea che nasce dal profondo delle viscere, si diffonde prepotentemente, come metastasi di un tumore terminale, abbracciando l’intero corpo umano, fino ad arrivare alla mente. Riempie i vasi sanguigni del suo veleno, irrorando muscoli, polmoni, cuore.

E’ un senso di colpa che nasce come una piccola idea, una flebile lucina in fondo al tunnel, pronta a distruggerti.

Un’esistenza regalata, la vita del ragazzo, che forse, ancora, non sente di meritarsi.

Un attimo importante, saturo di polverosi scenari in stile vecchio west, ambientazioni estremamente naturalistiche, dense di sentimento e valori morali.

Un istante essenziale, dedicato alla riflessione, alla meditazione, al tempo rubato, cristallizzato nel baleno di un ricordo, ancora talmente vivido da sembrare ancora vivo, caldo, scottante, potente.

Fumo, polvere, silenzio irreale.   Il vento ancora racconta una storia che non ha mai smesso di palpitare, seguendo i battiti regolari di un orologio antico.

Basta un colpo di tacco, un passo sbagliato, un errore umano, ed è subito guerra.

You can do this”.

Fumo, polvere, silenzio irreale, ed è subito buio.

La fatica ripaga il lavoro di una vita. Dolore, immenso dolore.

La terra è parte integrante della nostra essenza biologica; ci appartiene, ci ricopre, ci nutre, ci disseta.

Terra siamo, terra torneremo.

Il cielo si lamenta cupamente, accompagnando l’inarrestabile racconto del vento, e lasciandoci presagire un’inevitabile fine.

Un colpo di fucile spiega un tessuto interno, che ricopre e protegge un organo fondamentale per la vita umana.

Un sussulto raggiunge il cuore, sgretola le pareti di un cielo popolato da nuvole di calce, tuona nei padiglioni auricolari di un vento, che ancora non ha smesso di parlare.

La tela intessuta di un ragno ricopre il vetrino sottile di un piccolo cuore di metallo, che continua a pulsare sotto una spessa coperta di polvere. Due iridi impolverati osservano esterrefatti quel piccolo muscolo cardiaco, abbandonato al pulviscolo e alla terra.

Bozze di liquido organico contornano il racconto di una fine, deliziosamente accompagnato da palpitazioni infinite di un cuore, che ha smesso di svolgere il suo faticoso lavoro; e l’equilibrio precario dell’esistenza umana, che si sbriciola lungo il perimetro di una montagna polverosa.

Tutto tace. E’ la fine, o forse un nuovo inizio.

E’ sempre solo il vento ad avere l’ultima parola.

Ma non è la morte a vincere, ma il cuore.

Il cielo si tinge di rosso alle calde lacrime di un essere umano, che irrorano un’arida terra polverosa.

L’uomo libera la sua cassa toracica di pesanti catene e riesce finalmente ad abbandonarsi alla libertà.

La libertà di essere vivo. La libertà di essere vivo e fragile.

(Stiamo ancora parlando di “Borrowed time”?  Ebbene si, questa volta la Pixar ha fatto molto di più. Ha raccontato la storia di ognuno di noi.)

Non è la morte a vincere, ma il cuore e la libertà.

 

Elisa Bellino

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