Boris Johnson – quello che fino a ieri abbiamo chiamato “il Trump inglese” e che, al pari del suo presunto corrispettivo americano, avevamo additato come minimizzatore dell’emergenza coronavirus – ha parlato alla nazione con un tono più schietto di quello di molti altri leader.
Il suo discorso ha subito generato però grosse polemiche. Il primo ministro inglese infatti è tra i pochissimi leader a non aver ancora messo in pratica le misure restrittive contro la diffusione del Covid-19. In particolar modo a far discutere è stata una frase: “Voglio essere onesto con il popolo inglese, questa è la peggior emergenza sanitaria della nostra epoca. In molti perderanno i propri cari prima del tempo.“
Proprio questa frase sembrerebbe quindi confermare la natura sincera del discorso di Boris Johnson. Parole che riconoscono la gravità della situazione, e che preparano anche la popolazione ad una grande sofferenza. Quella sofferenza data dalla morte dei propri cari e dei propri connazionali, che nessuna quarantena potrà arginare. Perché il virus farà morire migliaia di persone ovunque, e i conti con questo lutto li dovremo fare tutti: italiani, inglesi, cinesi e così via. Si tratta di fare i conti con il privilegio di vedere questi eventi come eccezionali e straordinari, al contrario di chi è costretto ad afffrontare le pandemie – non solo dovute a virus ma anche ad altro – come parte integrante della propria e della comune esistenza. Si tratta di riconoscere la vulnerabilità dell’umanità tutta, anche di quella bianca, ricca e ben nutrita.
Tornando a Boris Johnson però, a far gelare il sangue non è solo il cinismo del primo ministro – che alla fine è sotto un certo punto di vista anche onestà – quanto piuttosto la mancanza di misure – che potrebbe farci supporre noncuranza – per reagire alla “peggior emergenza sanitaria della nostra epoca“. Infatti il governo inglese, dopo aver riconosciuto il coronavirus come una seria minaccia – Boris Johnson ha subito specificato che non si tratta di una banale influenza – ha scelto di non intervenire, almeno per il momento.
La sua è una decisione che va in direzione contraria alla strategia predominante per il contenimento del virus, ossia la quarantena nazionale. Strategia che l’OMS ha approvato ed elogiato – con particolare riferimento all’Italia che ne è la rappresentante massima in Europa- definendola come l’unica possibile per ritardare il contagio e dar tempo al sistema sanitario di attrezzarsi.
Ma c’è tanto di controverso nel discorso di Boris Johnson. A colpire è soprattutto l’estrema scientificità – che poi sembrerebbe essersi tradotta anche in una certa freddezza d’animo – dell’approccio alla crisi. Al contrario di quello che avremmo potuto aspettarci – ben conoscendo la natura populista del personaggio – il primo ministro inglese si è presentato accompagnato da dati e pareri scientifici in tutte le sue dichiarazioni.
Il professor Chris Whitty – a capo dei medici inglesi- e Sir Patrick Vallance – consigliere scientifico del governo – hanno parlato infatti più del primo ministro in tutte e tre le conferenze stampa sul tema coronavirus. I due si sono subito dichiarati fermamente convinti che il numero dei contagi effettivi è ben superiore a quelli ufficialmente registrati. Mentre quindi il sistema sanitario inglese (l’NHS) dichiara poco meno di 600 positivi, i due consiglieri di Johnson suppongono tra i 5mila e i 10mila contagiati.
Troppo facile è criticare Boris Johnson rendendolo semplicemente lo stereotipo del sovranista pazzo. Il caso inglese è anzi piuttosto complesso: da una parte c’è il pieno riconoscimento della gravità del virus – anche meglio di altri paesi – dall’altro l’assenza di misure precauzionali.
Si vocifera in Inghilterra di immunità del gregge: quando il 60% della popolazione avrà contratto il virus allora si saranno sviluppati gli anticorpi necessari al suo contrasto. Una tesi che per ovvie ragioni possiamo considerare brutale. Se infatti il tasso di mortalità fosse pari a quello cinese, in Inghilterra si registrerebbero 400mila morti. Ancora più grave sarebbe la situazione nell’ipotesi in cui si registrasse il tasso del 3% – che per ora sembrerebbe proprio solo dell’Italia – e quindi nel Regno Unito il coronavirus provocherebbe più di un milione di decessi.
D’altra parte però ci sono anche delle verità scientifiche. Rallentare i contagi serve a far ricaricare il sistema sanitario, non ad uccidere il virus. La fine della quarantena nazionale non coincide necessariamente con la fine della pandemia. Alcune chiusure – secondo il comitato scientifico inglese- per quanto sappiamo del virus finirebbero per essere addirittura controproducenti. Senza togliere al fatto che una volta sbloccato il lock-down – quello che noi chiamiamo #iorestoacasa – il virus potrebbe ricominciare a circolare, generando addirittura nuovi picchi.
L’obiezione è “allora che fare? Lasciare i più deboli a morire mentre i più forti diventano immuni?”. Che Boris Johnson stia abbracciando il darwinismo sociale e immagini una società più giovane e forte tra pochi anni è piuttosto escludibile. Prima di tutto perché sarebbe un suicidio politico per un leader che conta soprattutto sul supporto della fascia di popolazione più anziana. Le questioni da considerare sono molte.
Il primo ministro inglese non ha detto che non prenderà misure, solo che non lo farà ancora. Il picco di contagi nel Regno Unito è previsto dai ricercatori scientifici fra 4 settimane, e Boris Johnson si affida totalmente a loro. Per questo le misure restrittive – sul modello cinese fatto proprio dagli italiani – arriveranno solo fra qualche tempo. Per ora ci si limita alle raccomandazioni generali che abbiamo tutti imparato a memoria.
Gli inglesi quindi, dati e grafici alla mano, hanno scelto di affrontare l’emergenza cercando di causare il minor danno possibile ma preparandosi ad accettare quello che sarà comunque necessario. Johnson si affida alle valutazioni dei ricercatori e prevede di agire solo in un secondo momento – cioè di fronte al picco dei casi – per bloccare a quel punto il carico sul sistema sanitario. Ma nel frattempo, agli inglesi viene chiesto di farcela un po’ da soli.
La richiesta di Boris Johnson – iniziare a fare attenzione alla situazione, sebbene il governo non reputi ancora necessario intervenire a gamba tesa- non contrasta neanche troppo con un forte spirito nazionale, da tenere sempre in considerazione quando si affronta una situazione di emergenza. Gli inglesi vanno generalmente fieri della loro schiena dritta, della capacità cioè di affrontare tutto con estrema calma e naturalezza. Così Boris Johnson ha parlato alla nazione con “la schiena dritta” e in modo brutale, guadagnandosi larghi consensi anche tra chi per lungo tempo non aveva fatto altro che criticarlo.
I calcoli del governo danno larga fiducia alla capacità di sopportazione dell’NHS. Il primo ministro inglese, affidandosi completamente ai suoi consiglieri, crede di poter riuscire ad intervenire più tardi limitando le perdite economiche e l’impatto sociale. Boris Johnson quindi è un genio o un folle? La verità è che non possiamo dirlo. Per il momento dobbiamo limitarci a rilevare la sua scarsa sensibilità di comunicazione, ma anche una forte fiducia nell’NHS e nelle previsioni dei suoi collaboratori.
Bisogna considerare il modello inglese come una rischiosa sperimentazione, che si aggiunge alle due principali stretegie di contenimento seguite fino ad oggi.
La prima è quella della quarantena nazionale. Tuttavia, nonostante i rassicuranti risultati che ci arrivano dalla Cina, non sappiamo quanto restare a casa funzioni sul lungo termine. Se il lock-down viene interrotto quando i contagi diminuiscono – come promette il governo italiano – e non quando questi scendono a zero, cosa ci garantisce che non vi siano dei nuovi picchi in futuro?
Il modus operandi alternativo è quello della Corea del Sud, che pure è riuscita a sgonfiare significatamente il numero dei positivi in breve tempo. Il governo coreano ha fatto centinaia di migliaia di tamponi al giorno – con un costo piuttosto elevato – ed è stato così in grado di isolare rapidamente tutti i contagiati. Attraverso clamorose invasioni della privacy sono stati rilevati tutti gli spostamenti di ogni individuo positivo – usando i movimenti della carta di credito, il gps del cellulare e le telecamere negli spazi pubblici- e a tutti i cittadini è stato inviato un messaggio con questi dati. Si è parlato infatti di un vero e proprio Grande Fratello che ha però permesso alla Corea del Sud di rilevare in modo piuttosto veloce i probabili portatori di virus ed isolarli tempestivamente.
Accanto a questi due diversi modelli di reazione al virus ora se ne delinea un terzo, quello inglese. Il modello cioè della quarantena solo al momento del picco dei casi, con l’obiettivo di avere un esaurirsi maggiore e definitivo dei contagi.
Sono tutte sperimentazioni – che però vengono fatte sulla pelle dei cittadini.
Marika Moreschi