In Cile la sinistra torna al potere: la vittoria del candidato di sinistra Gabriel Boric, 35 anni, segna una svolta storica e la rinascita del Paese verso un futuro di cambiamenti.
Uno scontro tra ideologie
L’elezione del leader della Sinistra Radicale Gabriel Boric è una ventata di aria fresca per il Cile. Boric – che si è fatto le ossa come leader dei movimenti studenteschi di protesta nel 2019 contro le ingiustizie del governo di Sebastian Piñera – si dichiara femminista ed ecologista e rappresenta cambiamento, maggiore giustizia sociale, ma soprattutto un ritorno della sinistra.
Dall’altra parte dello schieramento politico troviamo il suo avversario nelle elezioni, José Kast, conservatore e difensore della “famiglia tradizionale”, sostenitore della politica economica neoliberista che ha preso piede in Cile fin dal colpo di stato del 1973 e l’instaurazione della dittatura di Pinochet. E a proposito del dittatore, Kast si è definito suo ammiratore, e perciò non sorprende che nel suo progetto politico si proponga di riportare l’ordine nel Paese, a qualunque costo.
Boric e Kast rappresentano due modelli opposti nel conflitto ideologico che caratterizza lo scenario (geo)politico dell’America Latina sin dalla guerra fredda. E in tale conflitto tra destra e sinistra, tra politiche liberiste e socialiste, con il 55% dei voti, – rispetto al 44% di Kast – il neo-presidente è pronto a dare un taglio netto con la tradizione come candidato di sinistra, nel segno del governo Allende.
Presidente di tutti i cileni
Come Allende prima di lui, Boric ha basato la sua vittoria su alleanze nello spettro politico di sinistra, ma anche con i Democristiani. E sempre come Allende, Boric si impone come Presidente del cambiamento, acclamato dalle piazze che lo festeggiano in queste ore. Dal 2019, quando era leader dei movimenti studenteschi di protesta, Boric lotta contro le ingiustizie e i paradossi del Cile, un Paese ricco ma profondamente inegualitario, afflitto da anni di politiche neoliberiste che hanno portato all’arricchimento dei già ricchi contro all’impoverimento dei già poveri. Una caratteristica che accumuna molti Stati dell’America Latina.
Con il referendum del 2020, che ha segnato l’addio alla costituzione di Pinochet, i cileni hanno potuto esprimere la loro insoddisfazione con l’eredità della dittatura e i difetti della transizione democratica che gli è succeduta, che non ha risolto profondi problemi sociali nel Paese.
Ora a Boric spetta un compito difficile, quello di cambiare le cose tramite un programma di riforme strutturali e radicali, che prevede in primis un sistema sanitario e pensionistico pubblico. Ed è così che Boric vuole essere un “Presidente di tutti i cileni”, un popolo che ormai ben due volte ha espresso il proprio ripudio del modello liberale.
Una vittoria non solo per il Cile
La vittoria di Boric non rimarrà un caso isolato. L’America Latina, ormai assediata da corruzione, violenza, instabilità, ha visto il suo panorama politico assediato e intaccato da potenze esterne specialmente negli anni della guerra fredda.
L’elezione di Boric rappresenta la voglia di cambiamento dei giovani latini americani in tema di sostenibilità economica, sociale e ambientale, ma anche la rivendicazione dei diritti di Stati e popoli che hanno subito lo sfregio dell’interventismo americano e sovietico.
Il ritorno della sinistra in Cile segna il fallimento del modello neoliberale nel Paese, un modello che è stato imposto anche in molti altri Stati dell’America Latina. E per questo il caso cileno e la vittoria di Boric non sono da sottovalutare.
Una presa di coscienza è in atto e le persone – specialmente i giovani, come il neo-presidente cileno – sembrano caldeggiare un futuro di riforme, specialmente in materia di giustizia sociale.