Boom! Quando l’estate all’italiana ci faceva sentire uniti

Il miracolo economico ha illuminato l’Italia del secondo dopoguerra, veloce e intenso come una stella cadente.

Convenzionalmente, il cosiddetto “boom” è stato identificato nell’intervallo di tempo tra il 1957 e il 1962 ma, nel sentire comune, gli anni Cinquanta e Sessanta in generale rappresentarono un periodo nuovo e ottimista.

Erano anni in cui la miseria della guerra venne messa in ombra da una luce molto intensa e allo stesso tempo fugace. Chi l’ha vissuta, la racconta oggi con emozione. Ancora si può intravedere quel bagliore nei loro occhi, persi nel ricordo di quegli anni dove tutto poteva essere.

L’Italia conobbe infatti un benessere e una ricchezza garantiti non solo dalla ripresa economica postbellica, ma dagli ingenti capitali che le nuove e grandi fabbriche manifatturiere (le migliori al mondo) produssero, aumentando come non mai il PIL del Paese. Il boom economico fu un fenomeno isolato, che in Italia non si verificò più. Gli elettrodomestici, la televisione, ma soprattutto l’automobile, una per famiglia, entrarono nella vita degli italiani, garantendone un nuovo status symbol. Quest’ultimo si basava sul possesso e sull’uso di nuovi beni di consumo ai quali si poteva facilmente accedere.

L’iconografia dei “favolosi anni Sessanta” trova la sua effettiva espressione, come momento di benessere e spensieratezza assoluto nelle vacanze, o meglio, nella villeggiatura. Questo era il termine che si usava per definire un lasso di tempo che, da una breve gita fuori porta, si trasformò in un periodo di vera e propria sospensione ed evasione dalla vita quotidiana. Le città in estate erano deserte. Persone di ogni ceto sociale, borghesi, operai, occupavano lo stesso posto nelle nuovissime autostrade dirette principalmente nelle località balneari. Le code erano chilometriche, le macchine stracolme, ma c’erano più sogni che bagagli in quelle automobili.

Sotto il sole della Liguria, della Toscana o della Sicilia gli italiani diventavano tutti uguali, anche se per poco. Il senso di comunità si percepiva, perché tutti erano detentori di un pezzo di benessere, anche se c’era chi aveva faticato di più per ottenerlo.

I cinegiornali dell’epoca contribuirono a far rimbalzare nei decenni successivi un’iconografia degli anni del boom fatta di ombrelloni, folle al mare, donne con i primi bikini. Il juke-box coronava la libertà tanto agognata.

Anche il cinema di quegli anni fu un grande cinema. Rivederlo chiama la stessa nostalgia che si ripone verso le estati del benessere che non ci sono più. Un periodo dove non servivano gli smartphone per connettersi, ma un ballo guancia a guancia. Il mito di un’epoca è stato garantito anche dalle pellicole che dipinsero quegli anni.

Non so se sia il gesto “di voltarsi indietro” il responsabile di questa atmosfera trasognata che aleggia sugli anni del boom. Forse più ci si allontana e più si affinano eventuali crepe sociali che anche allora esistevano.

Le estati italiane degli anni del boom per quanto meravigliose, non erano infatti la vita reale, piena delle contraddizioni di un paese che ancora lottava con le diseguaglianze e le problematiche irrisolte del dopoguerra. Il sogno estivo, la chimera a cui si aspirava nei mesi invernali era però un’occasione di rinnovamento personale, come un lungo sonno dal quale risvegliarsi più grandi, con i tasca nuovi amori, nuovi incontri e qualche consapevolezza in più.

Audrey Hepburn e Gregory Peck, Vacanze romane (1953)
Audrey Hepburn e Gregory Peck, Vacanze romane (1953)

La “sospensione da se stessi” è una condizione che emerge dal film “Vacanze Romane” (1953) di William Wyler. Celebri le immagini di Audrey Hepburn e Gregory Peck che sfrecciano nelle affollate vie di Roma con la mitica Vespa. Un principessa che si finge una ragazza scappata dal collegio lei, un giornalista che si finge un venditore di fertilizzanti, lui.

Potrebbe apparire l’inganno il collante tra i due protagonisti, ma si trattava invece di altro. Lo si percepisce dal lungo e intenso sguardo che i due si scambiano nella scena finale. Non solo l‘amore sfiorato, come solo nella vacanze si può vivere, ma una vera e propria “vacanza” dalle persone che siamo sempre, immersi nella gioia di una festa sul Tevere e di un gelato in Piazza di Spagna.




La luce ad un certo spunto si spegne, ma rimane quello che si è vissuto.

Il sorpasso” (1962) di Dino Risi è il film che per eccellenza dipinge i meravigliosi anni Sessanta e le sue possibilità che si esprimevano a pieno d’estate e nel viaggio. Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant sono i protagonisti di una pellicola definita da sempre un capolavoro, che si fa specchio dell’estate del miracolo economico, con le sue spiagge, la sua musica e il costante leitmotiv  dell’automobile. Quest’ultima accompagna i due personaggi e lo spettatore in un viaggio di spensieratezza, con un finale inaspettato, che unisce drammaticità e commedia in un solo film, caratteristica di un certo cinema italiano di una volta.

Uno ritratto “postumo” degli anni del boom è stato tratteggiato vent’anni dopo dai fratelli Vanzina, con “Sapore di mare” . Il film è stato girato nel 1982, ma l’atmosfera degli anni Sessanta è ancora viva. Emerge dai ricordi dei due registi, che ne hanno lasciato eredità nel film. Protagonisti sono i giovani, finalmente riconosciuti come tali. I quali tentano di trovare il loro posto nel mondo tra sentimenti nuovi, crisi di gelosia, goliardia, gite in barca di nascosto dai genitori, temporali che rompono equilibri, amori estivi che nascondono sotto la sabbia quelli lasciati in città.

Gli ombrelloni ad un certo punto del film si chiudono, così come si chiude un’epoca che non tornerà più.

Se ne apriranno di nuovi, pronti a raccontare un’Italia diversa, che forse non sogna più come prima, ma ricorda.

Oggi in estate si respira ancora un senso di sospensione temporale, ma la chiusura non è più totale. Che sia un bene o un male, è difficile decretarlo. Sembra che ognuno viva per lo più il suo sogno (o incubo) personale, lontano dall’unione, benché temporanea, che le vacanze negli anni dei boom garantivano.

Il cinema del passato può aiutarci a riscoprire chi eravamo e che (forse) ancora siamo?

Ricordare fa bene, perché è proprio nella nostalgia che si racchiude la vita vissuta.

Claudia Volonterio

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