Ultimamente i medici stanno vivendo l’ambiente dell’ospedale come se fosse il far west: schiaffi, pugni e reazioni incontrollate da parte dei pazienti e delle loro famiglie stanno diventando all’ordine del giorno, tant’è che di frequente vengono riservati ai camici bianchi appositi corsi di autodifesa. Effettivamente i dati sono allarmanti: in due strutture sanitarie su tre si verificano casi di aggressione fisica, raggiungendo tremila casi all’anno.
Gli operatori sanitari esposti a maggior rischio sono i medici di continuità assistenziale, ovvero le guardie mediche: basti pensare che in vent’anni si contano addirittura 87 casi di omicidi, violenze carnali e sequestri. Procedendo nella drammatica statistica, dopo di essi i più colpiti sono gli addetti al pronto soccorso, con a seguire i medici e gli infermieri che lavorano in corsia, e infine coloro che lavorano in ambulatorio. Si può senza dubbio dire che rischiare di morire per cercare di salvare vite, è un paradosso e allo stesso tempo indiscutibilmente vergognoso.
La FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale, nonché sindacato e associazione professionale) sta cercando di fermare la scia di aggressioni subite negli ultimi mesi ed ha presentato a tal proposito il progetto “CuraSicura”, una sorta di “contenitore” in cui verranno raccolte iniziative e interventi finalizzati proprio alla sicurezza delle guardie mediche, mettendo innanzitutto a disposizione di tutti i medici d’Italia una formazione di qualità a distanza (Fad) gratuita.
Sicuramente, il primo passo per ridurre la conflittualità tra paziente e medico, è ridurre la natura delle aggressioni, la maggior parte delle volte causate dalla disorganizzazione del sistema sanitario. Infatti in media per una visita nella sanità pubblica ci vogliono 65 giorni d’attesa, contro i 7 giorni della sanità privata, che ormai con prezzi di poco superiori ai ticket e tempi di attesa notevolmente ridotti, sta diventando quasi più conveniente del servizio sanitario nazionale.
I medici vorrebbero trovarsi in ospedale per svolgere la propria professione, non per farsi curare a loro volta dai colleghi: occuparsi della sicurezza degli operatori sanitari è dunque fondamentale, ed è indispensabile inasprire le pene per chi rende li vittime.
Roberta Rosaci