Bologna, 2 agosto 1980: storia e memoria di una strage

Bologna 2 agosto 1980

La storia dell’attentato alla stazione ferroviaria di Bologna del 2 agosto 1980 è un viaggio nel cuore nero di un’Italia segnata da lacrime e piombo. A distanza di quarantatré anni da quella tragedia in cui persero la vita 85 persone, le sentenze hanno accertato tra i mandanti il pidduista Licio Gelli e lo zar dei servizi segreti Federico Umberto D’Amato ma tante sono le ombre che ancora oggi avvolgono il più sanguinoso attentato del dopoguerra italiano.

Ci siamo passati tutti, almeno una volta nella vita, da quella stazione ferroviaria, magari viaggiando su uno dei tanti treni che percorrono le numerose linee dell’Italia settentrionale e che proseguono lungo l’appennino per Firenze e Roma. Oggi, la stazione ferroviaria di Bologna centrale è molto più grande rispetto a quarantatré anni fa, eppure l’atrio sempre affollato di gente, i fabbricati giallo chiaro e l’uscita su Piazza Medaglie d’oro non sono cambiati così tanto da quel 2 agosto 1980 quando una bomba con 23 chili di esplosivo uccise ottantacinque persone ferendone altre duecento.

Di quella strage nulla fu casuale, nemmeno la data. La bomba esplose il primo sabato di agosto del 1980 alle 10:15. Durante quei giorni le stazioni ferroviarie bel paese erano prese d’assalto da folle di italiani pronti a partire per le tanto agognate vacanze estive e anche alla stazione centrale di Bologna c’era un’enormità di gente che aspettava di salire sul proprio treno. Chi ha pianificato la strage, sapeva benissimo che in quel sabato d’estate il risultato “sarebbe stato garantito”.

Già a partire dal giorno dell’attentato la magistratura dovette fare i conti con i depistaggi e la disinformazione mentre cercava di dare un volto ai colpevoli. Negli anni, i giudici hanno accertato che tra gli esecutori materiali dell’attentato ci furono alcuni militanti di estrema destra, appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari(NAR), tra cui Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, assieme a Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini. Lo scorso giugno è stato arrestato anche l’ex terrorista di Avanguardia Nazionale, Paolo Bellini, individuato come colui che posizionò la valigetta nell’atrio della stazione.

Ma dietro l’agitarsi criminale della galassia neofascista dell’Italia degli anni ’70 e ’80, le indagini hanno portato alla luce un livello superiore, quello dei mandanti che la Procura generale di Bologna ha individuato nelle persone di Federico Umberto D’Amato, Licio Gelli, Umberto Ortolani e Mario Tedeschi (tutti deceduti), protagonisti di alcuni degli eventi più torbidi dell’Italia degli anni di piombo.

Le prime ipotesi ufficiali e i depistaggi

Nell’immediatezza dell’attentato la posizione ufficiale del governo italiano, allora presieduto da Francesco Cossiga, sostenne la tesi di uno “scoppio per cause fortuite”, avvalorando l’ipotesi dell’esplosione di una vecchia caldaia che si trovava nel sotterraneo della stazione.

La tesi dell’esplosione fortuita venne smentita dal magistrato Libero Mancuso molti anni quando durante un’intervista la definì come uno dei primi tentativi di depistaggio messi in atto pochi minuti dopo l’attentato per permettere agli esecutori materiali di dileguarsi.


Dopo venti giorni dalla strage, il 22 agosto 1980, un rapporto della DIGOS di Roma, che conteneva documenti come i «fogli d’ordini» di Ordine Nuovo e “La disintegrazione del sistema” di Franco Freda, avvalorò la necessità di indagare più a fondo negli ambienti neofascisti. Il 28 agosto la Procura della Repubblica di Bologna emise 28 ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari, di Terza Posizione e del Movimento Rivoluzionario Popolare.

La falsa pista dell’operazione “Terrore sui treni” 

Il 13 gennaio 1981 in uno scompartimento di seconda classe del treno Espresso 514 Taranto-Milano, fu scoperta una valigia che conteneva otto lattine piene dello stesso esplosivo usato per la strage di Bologna, un mitra MAB, un fucile automatico da caccia, due biglietti aerei Milano-Monaco e Milano-Parigi. Il ritrovamento era avvenuto in seguito a una segnalazione dei servizi segreti ma l’operazione chiamata “Terrore sui treni”, si dimostrò un depistaggio architettato dal gruppo deviato del SISMI. 

Il generale Pietro Musumeci, vicecapo del SISMI, aveva prodotto un dossier fasullo che riportava gli intenti stragisti di due terroristi internazionali in relazione con altri esponenti dell’eversione neofascista, tutti legati allo spontaneismo armato ma stranamente senza legami politici, così da figurare come autori e allo stesso tempo mandanti della strage.

Tra i motivi del depistaggio, si è ipotizzata la necessità di celare la strategia della tensione oppure, secondo una tesi minoritaria, di proteggere Muammar Gheddafi e la Libia da possibili accuse, in quanto divenuti ormai partner commerciali importanti per FIAT ed Eni.

Le affermazioni di Francesco Cossiga e il “Teorema Amato”

Il 15 marzo 1991 il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga  ritrattò le affermazioni rilasciate nel 1980 sulla strage di Bologna, sostenendo di essersi sbagliato a definire «fascista» la matrice dell’attentato in quanto era stato male informato dai servizi segreti.

Paradossalmente, le ritrattazioni di Cossiga, portarono la magistratura ad abbandonare la pista libica, sostenuta fin dall’inizio da Giovanni Spadolini, per concentrarsi solo su quella neofascista.  Negli anni ’90 i giudici accolsero  nei fatti “la visione d’insieme” del giudice Mario Amato, in servizio presso la Procura della Repubblica di Roma e assassinato da militanti neofascisti nel giugno del 1980. Il  “Teorema Amato”  ipotizzava un coinvolgimento diretto dei NAR nella strategia della tensione in Italia durante gli “anni di piombo”.

Secondo Amato,  che proprio in quel periodo stava indagando sull’eversione neofascista, i NAR – fondati da Valerio (Giusva) Fioravanti – sarebbero stati sfruttati e manovrati da altri neofascisti più esperti che avrebbero utilizzato la copertura dello “spontaneismo armato” per nascondere l’effettiva direzione del terrorismo nero, ancora nelle mani dei vecchi ordinovisti e dei membri di Avanguardia Nazionale.

I rapporti tra servizi segreti, neofascisti e P2 

La conclusione dell’inchiesta del 2020  sulla strage del 2 agosto 1980 ha portato la Procura generale di Bologna a notificare quattro avvisi di fine indagine. Tra i destinatari, c’era Paolo Bellini, ritenuto l’esecutore materiale dell’attentato, che avrebbe agito in concorso con Licio Gelli – già condannato per depistaggio nei processi sulla Strage – Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti e quattro ritenuti mandanti, organizzatori o finanziatori.

Secondo la sentenza della procura generale di Bologna, il “Venerabile” gran maestro della loggia massonica P2, avrebbe agito con l’imprenditore e banchiere legato alla P2 Umberto Ortolani, suo braccio destro, con l’ex prefetto ed ex capo dell’ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato e con il giornalista iscritto alla loggia ed ex senatore del Movimento Sociale Italiano, Mario Tedeschi.

I primi due sono indicati come mandanti-finanziatori, D’Amato sarebbe stato il mandante-organizzatore e Tedeschi soltanto organizzatore. Da deceduti, il loro nome è stato iscritto nell’avviso di fine indagine dove si certifica il concorso con gli esecutori della strage, i terroristi neri già condannati Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, i primi tre in via definitiva e l’ultimo in primo grado, dopo la sentenza all’ergastolo di gennaio.

Il ruolo di Licio Gelli nella “sentenza Bellini”

Nella sentenza Bellini, condannato all’ergastolo per la strage di Bologna e arrestato lo scorso 23 giugno,  al di sopra della caotica galassia neofascista i giudici hanno individuato una catena di comando nella quale s’intrecciano interessi di servizi segreti deviati, massoni appartenenti alla P2 e membri della criminalità organizzata (mafia e ‘ndrangheta).

Secondo le sentenze dell’inchiesta del 2020 della Procura generale di Bologna, dietro ai NAR condannati per essere stati gli esecutori materiali dell’attentato che costò la vita a 85 persone quel sabato di agosto di quarantatré anni fa,  si celano  veri e propri architetti dei poteri segreti che manovrarono gli “inesperti” membri dei NAR.

Stando alle indicazioni fornite dal “Documento di Bologna”, Licio Gelli fu il vertice di un servizio segreto occulto che aveva in Federico Umberto D’Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo. Il venerabile maestro della P2  e lo zar indiscusso dei servizi segreti, capo dell’Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno, erano in contatto costante con il mondo dell’eversione neofascista.

Non è un mistero, infatti, che all’epoca dei fatti tra gli informatori dei servizi segreti italiani vi fossero diversi terroristi neri, così come è un fatto altrettanto noto che lo stesso Gelli in persona si spese per portare  nella P2 diversi esponenti della criminalità organizzata legati ad ambienti della destra neofascista.

Nella sentenza Bellini, la Corte d’Assise presieduta dal giudice Francesco Caruso ha evidenziato come lo spontaneismo armato dei NAR fosse un tentativo di ricomporre la frastagliata compagine neofascista italiana per continuare in modo sempre più organizzato ed efficace lo stragismo inaugurato nel 1969 con la strage di piazza Fontana.

Per i giudici della Procura Generale di Bologna, nella stessa galassia nera  dalla quale proveniva il Bellini erano presenti altre stelle molto più luminose e ben nascoste: i cosiddetti mandanti  occulti che con la strage del 2 agosto 1980 a Bologna compirono un vero e proprio atto politico finalizzato a destabilizzare l’opinione pubblica italiana e a rendere più debole le istituzioni democratiche del Paese.

A dimostrazione del ruolo cruciale giocato da Gelli, Ortolani, D’Amato e Tedeschi nella programmazione e nel finanziamento della strage di Bologna, i giudici della Corte d’Assise hanno evidenziato nella sentenza come i quattro mandanti non rappresentassero soltanto “una generica indicazione concettuale, ma nomi e cognomi nei confronti dei quali il quadro indiziario è talmente corposo da giustificare l’assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica internazionale da quelle figure”.

Tommaso Di Caprio

 

 

 

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