Donne costrette ai matrimoni precoci, alla lapidazione in caso di adulterio, all’analfabetismo e alla conversione forzata all’Islam. Questo è il destino che spetta a molte donne nigeriane, mai libere di decidere sul loro futuro.
Proprio riguardo la religione sono giunte delle testimonianze da alcune delle 276 liceali rapite dal gruppo jihadista Boko Haram. Quando sono state sequestrate si trovavano nel villaggio di Chibok, nel Nord-est della Nigeria, e 81 sono state liberate solo a seguito di una trattativa molto lunga tra i miliziani e il governo.
Ora si trovano in un “centro di recupero”, presso la capitale Abuja, in cui vengono curate per ristabilirsi psicologicamente e per allontanarsi dalla radicalizzazione a cui erano state sottoposte dal gruppo terrorista.
Alcune ancora oggi, dopo settimane, non riescono a distinguere la condizione di libertà da quella di prigionia: Sarah, obbligata per giorni a non mangiare e a bere per costringerla a sposare un guerrigliere, pensa ancora di essere rapita e tenuta prigioniera nella foresta di Sambisa.
Alcune delle 276 liceali hanno riportato le loro esperienze all’interno di un diario, poi reso pubblico dalla Thomson Reuters Foundation: “Eravamo in preda al panico, ma non volevamo convertirci, ci hanno buttato un liquido addosso, poi sono scoppiati a ridere e abbiamo capito che non era benzina ed eravamo salve”.
Questi diari originariamente dovevano essere dei quaderni dove riportare i testi coranici ma le ragazze sono riuscite a nasconderli o sottoterra o sotto il velo: nelle pagine sono riportate storie molto forti, alcune furono costrette ad uccidere le amiche che, dopo essere state catturate,si erano date alla fuga.
Una prigionia caratterizzata da lavori forzati, radicalizzazione religiosa, abusi sessuali e psicologici, addestramento militare. Proprio per via di queste condizioni di vita estreme, non le spaventava l’idea di essere uccise se venivano catturate mentre tentavano di scappare.
“Dopo vari tentativi alcune ragazze sono riuscite a scappare – scrive Naomi nel diario – arrivate in un negozio hanno chiesto aiuto presentandosi come le ragazze di Chibok, ma il proprietario, dopo averle tranquillizzate, a tradimento le ha riportate nella foresta spiegando loro che sono di proprietà di Abubhakar Shekau (il leader di Boko Haram). I miliziani per punizione le hanno picchiate quasi a morte”.
L’opinione pubblica estera si è interessata alle sorti delle cosiddette “Chibok girls” grazie anche all’impegno e all’interesse dimostrato dall’ex first lady Michelle Obama che attraverso l’hastag #bringbackourgirls ha fatto conoscere al mondo la realtà di Boko Haram.
Inizialmente il rapimento delle ragazze non era stato previsto dai guerriglieri: i diari dimostrano infatti che stavano raccogliendo materiale per costruire gli accampamenti militari e solo dopo aver incontrato le ragazze, a seguito di un’accesa discussione, hanno deciso di rapirle e lasciare il loro destino nelle mani del leader Shekau. L’uomo che ha condannato alcune di esse alla morte certa visto che più di cento sono state usate come bombe umane nei diversi attentati avvenuti presso i mercati e i villaggi.
Delle ragazze rapite, 103 sono state liberate ma delle altre 113 non si sa nulla. Secondo fonti certe, alcune scelgono di rimanere in condizione di prigionia proprio a causa dell’indottrinamento “oppure per la vergogna di tornare a casa”, come dichiara Mustapha alla Thomson Reuters Foundation.
Boko Haram dal 2009 ad oggi ha ucciso più di 25mila persone: si tratta di una condanna quotidiana per i villaggi della Nigeria e per il diritto alla vita, alla dignità umana. Tutto ciò avviene nel silenzio colpevole dell’Europa.
Dorotea Di Grazia