Bloomberg si candida alle primarie del Partito Democratico

Bloomberg si candida

Bloomberg si candida alle primarie

Mike Bloomberg si candida alle primarie del Partito Democratico per la corsa alla presidenza degli Stati Uniti. Lo ha annunciato lui stesso, con un video on-line in cui dichiara di candidarsi “per sconfiggere Trump e ricostruire l’America”. Il magnate dell’informazione, da sempre contro l’attuale presidente degli USA, ha dichiarato che Trump “rappresenta una minaccia per il nostro Paese e i nostri valori. Se vincerà un altro mandato potremmo non riprenderci più dai danni”.

Michael Rubens Bloomberg ha 77 anni ed è uno degli uomini più ricchi del mondo. Secondo Forbes è al nono posto della classifica. Per dire: il suo patrimonio ammonta a 55.5 miliardi di dollari, contro i “soli” 3.1 miliardi del presidente Trump. La sua fortuna deriva principalmente dai suoi network di informazione – radio, canali televisivi, testate giornalistiche – nonché da un software che, alla modica cifra di ventimila dollari per l’abbonamento annuale, fornisce agli operatori finanziari notizie e informazioni nel modo più rapido ed esauriente possibile. Dopo le tanti voci, domenica 24 novembre è arrivata l’ufficialità: Bloomberg si candida alle primarie del Partito Democratico.

Le prime reazioni

Il fatto che il miliardario proprietario di un impero mediatico come Bloomberg si sia candidato alle primarie democratiche ha fatto storcere il naso a molti. Le perplessità arrivano sia da politici – avversari e non – che da giornalisti, preoccupati, innanzitutto, per la libertà di informazione. Solitamente i suoi network non riportano notizie su di lui, se non dopo che queste sono state date da altri canali. E non effettuano lavori di indagine né su di lui, né sui suoi avversari politici. Ci si aspetta che la condotta che terranno i suoi giornalisti durante la campagna elettorale rispecchierà quanto fatto in passato. Ma in tanti pensano che ci possano essere dei condizionamenti a suo vantaggio. D’altra parte, fino ad oggi è un dato di fatto che se Mike Bloomberg si candida, vince.

Bloomberg sindaco repubblicano di New York

Bloomberg, infatti, non è nuovo al mondo della politica: ha alle spalle ben tre mandati da sindaco di New York. L’anomalia, rispetto alla sua posizione odierna, è che alle elezioni del 2001 e del 2005 Mike Bloomberg era il candidato sindaco del Partito Repubblicano. Era considerato un Repubblicano atipico, schierato a favore dei diritti della comunità LGBT e dell’aborto. Ma, durante i suoi mandati, è stato anche responsabile di leggi controverse, come la cancellazione del limite dei due mandati – che gli avrebbe permesso la terza elezione consecutiva a sindaco di New York – e la cosiddetta “stop and frisk”, letteralmente “ferma e perquisisci”. Di fatto, grazie a questo provvedimento, la polizia poteva fermare e perquisire ogni soggetto ritenuto sospetto, anche senza mandato.  Questo consentiva grande discrezionalità alle forze dell’ordine e impattò quasi completamente sulle comunità nere e ispanoamericane di New York. Di recente, Bloomberg si è scusato per lo “stop and frisk, dicendo che non ne aveva percepito l’impatto negativo su quelle comunità. Anche se qualcuno gli ha fatto notare che le sue scuse sono un po’ tardive e vane…

Dopo l’addio ai Repubblicani, avvenuto nel 2007, Bloomberg si candida nuovamente a sindaco di New York, questa volta come indipendente. Quindi, portato a compimento il terzo mandato, torna a vestire i panni del CEO della sua società.

Bloomberg contro tutti

Da allora non ha comunque smesso di occuparsi di politica. Nel 2012 ha sostenuto la rielezione di Obama. Nel 2016 poi, paventò una sua candidatura per “salvare il paese” dallo scontro tra gli “estremisti”: Trump e Sanders. Con il recupero della più moderata Hilary Clinton (che vincerà le primarie contro il “socialista”, perdendo poi le elezioni contro Trump), decise di non scendere in campo. Ma già all’indomani dell’elezione di Trump i sussurri erano ripresi: “vedrai, alle prossime elezioni Bloomberg si candida” si affermava nei corridoi politici americani. Nel frattempo, si è prodigato in attività filantropiche e nella lotta ai cambiamenti climatici, in netto contrasto con l’amministrazione Trump.

Oggi la “minaccia socialista”, sospinta dalla polarizzazione ideologica causata dal mandato di Trump, sembra più concreta rispetto a 4 anni fa. Nei sondaggi, infatti, il “socialista” Sanders è costantemente in vantaggio rispetto a Joe Biden, ex vice di Obama, il candidato centrista più accreditato tra quelli in pista, finora. Pure la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, anche lei della sinistra Dem, secondo alcuni sondaggi, ha raggiunto l’ex vicepresidente.

Iscrittosi al Partito Democratico nel 2018, Bloomberg può prendere parte alla corsa per la poltrona più importante d’America. Non più come indipendente, come avrebbe fatto nel 2016, ma come candidato democratico. Perché, secondo il suo entourage, nessuno degli attuali candidati ha possibilità di battere Trump. Biden è ritenuto troppo debole, Sanders e Warren troppo a sinistra. Di fatto, Trump sembra ancora il favorito per le presidenziali del 2020. Ecco perché ha sciolto ogni riserva, questa volta per davvero: Mike Bloomberg si candida. 

La rincorsa è partita

I primi sondaggi non sono incoraggianti. Per il momento i candidati di sinistra, Sanders e Warren, sembrano smuovere più consensi dei moderati, come certificano le difficoltà di Joe Biden. Ma la notizia della candidatura di Bloomberg è troppo fresca per valutarne l’impatto e bisognerà aspettare ancora qualche giorno per farsene un’idea. Di sicuro, nessuno ha la potenza economica e mediatica di Mike Bloomberg. La sua grande macchina elettorale, interamente autofinanziata, si è messa in moto. Vedremo se il tempo e le armi a sua disposizione saranno sufficienti a permettergli di scalare la classifica di gradimento e scongiurare la “minaccia socialista”. Rispetto al suo predecessore italiano, quel Berlusconi magnate dell’informazione che scese in campo per salvare l’Italia dalla “minaccia comunista”, ha persino più armi e più esperienza politica. Ma certo ha di fronte a sé avversari più agguerriti di Achille Ochetto. E deve sconfiggerli sia alla sua sinistra che alla sua destra.

“Make America rebuilt again”?

Tra chi lo vede come un infiltrato tra le fila democratiche, chi lo ritiene un pericolo per la democrazia a causa del suo potere economico e mediatico e chi diffida di lui in quanto Repubblicano traditore, gli ostacoli sulla sua strada saranno tanti. Non sarà facile la rincorsa alla nomination, né, tantomeno, quella alla poltrona di Presidente degli Stati Uniti. Riuscirà a conquistare la fiducia delle minoranze? Risulterà un candidato credibile anche per quei democratici che lo vedono come un difensore dell’establishment e dello status quo? “Rebuilt America” è il suo slogan. Per battere Trump, finora è sembrato più efficace proporre una vera e propria refoundation – o, per dirla alla maniera di Bernie Sanders, una political revolution. Ma se Mike Bloomberg si candida, lo fa per vincere.

Staremo a vedere. C’è ancora tempo prima delle prime votazioni, in Iowa il 3 febbraio. La corsa alla Casa Bianca è appena iniziata. E Mike Bloomberg, questa volta, sembra proprio non voglia lasciare nulla di intentato.

Simone Sciutteri

Exit mobile version