Stati Uniti: Bloccata fornitura di armi verso Israele

Non era mai successo, sin dal riaccendersi del conflitto aperto a Gaza, gli Stati Uniti non avevano mai impedito l’arrivo di una fornitura di armi agli alleati israeliani.

Fornitura di armi

La notizia del blocco nella fornitura di armi

Il presidente americano Joe Biden ha bloccato una ingente fornitura di armi che avrebbe dovuto raggiungere Israele in queste ore.

La notizia era stata anticipata dall’agenzia di informazione americana Axios, già ad inizio settimana, la conferma arriva oggi. Fonti anonime vicino alla Casa Bianca confermano quanto anticipato e fanno sapere che l’amministrazione Biden sta prendendo in considerazione l’eventuale blocco di ulteriori forniture.

Il pacchetto avrebbe compreso un totale di 3500 ordigni, 1800 da 2000 libbre e 1700 da 500 libbre. Questa decisione rappresenta una prima volta dall’avvio delle ostilità tra Israele e Hamas iniziate con l’attacco del 7 ottobre.

Il precedente storico

I due paesi hanno alle spalle decenni di relazioni bilaterali privilegiate che non sono mai state messe in discussione da quasi nessuna amministrazione al governo dei relativi paesi.

Un precedente in questo senso risale all’amministrazione democratica di John Fitzgerald Kennedy, ultimo presidente americano a bloccare una fornitura di armi destinata a Israele. Nel film JFK di Oliver Stone si allude appunto ad un ruolo giocato da Israele nell’orchestrare il suo omicidio, in quanto, gli scambi militari tra i due paesi ripresero sotto la nuova amministrazione Johnson.



Le condizioni sul campo che hanno influenzato la decisone

Le cause del blocco della fornitura di armi risiedono nella dichiarata intenzione israeliana di oltrepassare anche l’ultima linea rossa imposta dagli Stati Uniti, ovvero la tanto discussa invasione di terra della città di Rafah.

Le trattative in corso al Cairo mediate da Egitto e Qatar, accettate da Hamas, ma respinte da Israele, non sono servite a dissuadere Netanyahu e il suo governo dall’operazione militare che cambierebbe il corso del conflitto.

In sette mesi di guerra Israele ha indiscriminatamente rincorso i suoi obbiettivi, quelli dichiarati, ovvero eliminare Hamas e recuperare gli ostaggi rapiti il 7 ottobre e quelli indicibili, ovvero, la sommaria punizione di tutta la popolazione palestinese per costringerla all’esodo e possibilmente al non ritorno, estendendo così i confini dello stato di Israele.

L’unico valico di frontiera attivo a Gaza, quello di Rafah appunto, è passato sotto il controllo diretto delle IDF che sembrano intenzionate a tenerlo aperto solo in uscita, e non per l’ingresso di aiuti umanitari indispensabili nella striscia, che sono puntualmente ostacolati con ogni mezzo possibile.

L’avanzata delle IDF su Gaza ha interessato il nord e il centro della striscia, per questa ragione 1.4 milioni di profughi si sono ammassati nel sud, nella città di Rafah, su indicazione dell’esercito di Tel Aviv.

Nelle ultime ore anche la parte est della città è stata evacuata, o meglio, chi ha potuto si è spostato in altre zone della città, sempre su indicazione dell’esercito israeliano. I movimenti di truppe indicano una concentrazione di uomini e mezzi in quest’area e tutto sembra far presumere l’imminenza dell’attacco, che è stato più volte definito inevitabile da parte del ministro della difesa israeliano Joel Gallant.

La lettura politica

Joe Biden si gioca molto in questa vicenda, le proteste studentesche scoppiate nei campus universitari americani indicano come una grossa fetta d’elettorato democratico giudicherà con orrore il coinvolgimento statunitense in questa operazione. Il presidente americano vuole e deve poter apparire contrario, non solo a parole, almeno a questa ultima e preannunciata strage.

Nonostante questa decisione possa giovare in termini elettorali, in vista delle elezioni di novembre contro Donald Trump, la linea di supporto verso Israele non è stata compromessa.

Infatti, il recente blocco di aiuti militari statunitensi, del valore di 95 miliardi di dollari, diretto a Israele, Taiwan e all’Ucraina, che è stato oggetto di prolungate trattative politiche a causa dell’ostruzionismo repubblicano verso gli aiuti per Kiev, non è stato compromesso da questa operazione.

I 26 miliardi previsti come aiuto militare a Tel Aviv saranno comunque consegnati secondo i tempi previsti anche a seguito di questa manovra.

Il blocco della fornitura di Armi è in quest’ottica un chiaro segnale politico diretto a Israele, più che un allontanamento dalle posizioni di alleanza.

Fonti anonime della Casa Bianca, citate dal Washington Post hanno sottolineato come una “decisione definitiva su come procedere sull’invio di aiuti militari non sia ancora stata presa” e che la discrezionalità sulla questione rimane una prerogativa di Washington.

La prossima fornitura di armi prevista include dispositivi capaci di rendere le bombe definite “stupide” in armamenti ad alta precisione capaci di essere pilotati con precisione sugli obbiettivi.

Gli Stati Uniti stanno chiedendo all’alleato israeliano un sostanziale cambio di strategia, non per fermare il conflitto, bensì per arginare l’uccisione indiscriminata di civili che grava sui possibili esiti del voto di novembre.

Matthew Miller, portavoce del dipartimento di stato americano ha sottolineato come il diritto di difendersi di Israele non sia stato compromesso dall’annuncio della sospensione dell’ultima fornitura di armi.

L’attrezzatura militare già in possesso di Tel Aviv, fornita in larga parte dagli USA, basterebbero a condurre l’operazione su Rafah.

Nel concretizzarsi di questa tragica prospettiva si rinnovano gli appelli della comunità internazionale, delle Nazioni Unite e delle ONG coinvolte nel conflitto a fermare una strage annunciata di civili, che dall’inizio del conflitto stanno pagando il prezzo del sangue di queste speculazioni politiche sulle alleanze.

Fabio Schembri

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