Di Denis Villenueve, sequel del capolavoro del 1982 del regista-culto Ridley Scott, Blade Runner 2049 è sbarcato nei cinema con il suo impressionante carico di aspettative, non deludendo infine il pubblico, già prima della sua uscita, ampiamente diviso a metà fra gli amanti dell’intoccabile opera originale e le nuove leve di cinefili. E’ difficile dare una valutazione al nuovo film che prescinda da un paragone con il vecchio, ma superato questo difficile scoglio, ci si trova dinanzi a un mare di sperticati elogi per il lavoro, certosino, di Villenueve.
Quella di Denis Villenueve è un’opera a tutto tondo, un concept audiovisivo. Come per il suo storico predecessore, anche Blade Runner 2049 infatti colpisce per il suo essere tremendamente bello da vedere e ascoltare. Come se fosse un dipinto pregevole e al tempo stesso una composizione d’autore. I punti di forza del primo storico film si riaffermano nel sequel, ambientato trent’anni dopo nella stessa Los Angeles, futuristica, perennemente piovosa e piena di ologrammi pubblicitari 3d giganti. Una città che ammalia per qualità estetica (special effects senza abuso di computer grafica) e scenari mozzafiato (con interni freddi ma curati sin nei minimi dettagli).
L’opera di Ridley Scott probabilmente non aveva difetti per l’epoca, e forse è per questo che è considerata un capolavoro assoluto del cinema, classico senza tempo capace di marcare una linea netta di demarcazione fra cinema inteso come arte e cinema inteso come intrattenimento. Nella pellicola di Villeneuve, invece, un paio di cose che non vanno ci sono. Nulla, però, che faccia cambiare idea a chi la considera tra le cose più belle uscite in questo 2017.
Fonte: cinema.everyeye.itVillenueve, al suo quarto grande successo commerciale (Prisoners, Sicario e Arrivals gli altri tre), seppur caricato di responsabilità, si comporta egregiamente dietro la macchina da presa, come da copione, essendo ormai uno dei registi più affermati di Hollywood. Le musiche curate da Hans Zimmer (Inception, Batman, Il Codice da Vinci) sono evocative e potenti, montaggio e fotografia rasentano la perfezione. Se il primo film è considerato l’antesignano del genere cyber-punk (Matrix, Existenz,Ghost in the Shell) anche BR2049 fa sul serio. Forse “la Street” è un po’ meno curata, nei dettagli, del suo precedessore; è qui che i colori risultano meno variegati e capaci di catturare lo sguardo, tuttavia il risultato finale è in linea con le attese. Certo, a livello di sceneggiatura, non si sono toccati livelli mai visti prima, anzi. La trama è piuttosto semplice, la sua chiave di volta è un espediente narrativo piuttosto abusato. Ma anche solo l’avere sfiorato la bellezza dell’opera originale fa di questo Blade Runner 2049, forse non un cult, ma un film pazzesco per i tempi che corrono. Grasso che cola in mezzo a tanto ciarpame. Se Ridley Scott nel 1982 ha riscritto il cinema, Denis Villenueve nel 2017 è stato in grado di omaggiarlo.
Quanto al cast, Ryan Gosling recita bene la parte del cacciatore di androidi (quella che fu di Ford nell’82), sebbene non si tratti di una delle performance migliori della sua carriera, mentre la cubana Ana de Armas è Joi, la compagna virtuale di Gosling (chiamato anche agente K). Naturalmente, come tutti sanno, il film si avvale anche della presenza di Harrison Ford, confermato nel ruolo di Rick Deckard. Quanto a quest’ultimo, a non tutti è piaciuta la sua performance, da invecchiato, a distanza di tutti questi anni, ma ciò era già successo in occasione dell’uscita del film Star Wars-Il risveglio della forza e, volenti o dolenti, bisogna abituarsi considerato il numero di saghe storiche col grande attore (Star Wars, Indiana Jones, Blade Runner). Nel film l’agente K è speranzoso di verità circa la sua reale identità (binomio essere umano/robot) e quella del suo creatore (tematica del divino alla base dell’opera di Philip K. Dich). Le sue indagini lo porteranno ha incontrare Deckard, nonché sulle traccie di una misteriosa organizzazione…