Nonostante l’espressione “Fortezza Europa” sia caduta in disuso nel tempo, le frontiere europee restano luoghi altamente sorvegliati e selettivi, condannando ogni anno migliaia di persone a dover affrontare percorsi pericolosi per accedere al territorio europeo. Le vittime dirette delle politiche migratorie europee sono numerosissime e ogni giorno le persone in movimento rese irregolari dal sistema politico europeo si scontrano con confini fisici e tecnologici che “filtrano” i passaggi. Tra questi strumenti la biometria è sistematicamente impiegata e provoca un’inclusione differenziale basata su profilazione razziale e politiche epidermiche. I dati presi alle persone in movimento vengono poi raccolti nel sistema Eurodac, strumento di controllo e sorveglianza aspramente criticato.
Il carattere razzista dei confini europei e le tecnologie di sorveglianza e gerarchizzazione
La metafora di “Fortezza Europa” è un’immagine che è stata a lungo utilizzata parlando di confini europei ma che ormai da anni, soprattutto in ambito accademico, non è più impiegata, rimanendo però nell’uso comune. Per quanto il territorio europeo si configuri in parte come una fortezza cui è difficile avere accesso, le politiche di chiusura dei confini in chiave anti-migratoria non hanno mai fermato i flussi di persone. Per questo, per descrivere il modo in cui i confini operano, Sandro Mezzadra ha proposto il concetto di “inclusione differenziale” a indicare quel processo attraverso il quale le frontiere non agiscono semplicemente come barriere alle migrazioni, ma piuttosto come dispositivi che gestiscono e regolano i flussi migratori in maniera selettiva e discriminatoria. L’accordo di Schengen e il sistema di Dublino si sono sviluppati intorno alla retorica del necessario contrasto all’“immigrazione clandestina”, creando un regime di controllo dei confini che caratterizza tutte le frontiere europee, interne ed esterna. Questa definizione mostra come le politiche di frontiera europee agiscano come filtri che creano una gerarchia all’interno di una popolazione già profondamente stigmatizzata e ostacolata, influendo sui percorsi migratori e lasciando un’impronta fisica e psicologica sui migranti etichettati come “irregolari”.
Secondo vari studiosi, la criminalizzazione delle migrazioni e i controlli a confine possono essere visti come tentativi di preservare un presunto “equilibrio interno” contro un fattore esterno che potrebbe in qualche modo minacciare una presunta ma assolutamente fittizia. Seguendo questo intento, in particolare dagli anni Novanta, si è verificato un incremento della militarizzazione delle frontiere, facilitato anche da un avanzamento di nuove tecnologie che hanno permesso lo sviluppo di sofisticati dispositivi di controllo per monitorare i confini sia marini che terrestri europei.
Controlli e tecnologie: Che cos’è la biometria e qual è il ruolo di Eurodac
Negli anni, i dispositivi dispiegati per controllare i confini e le politiche di securitizzazione si sono progressivamente intensificati creando una netta distinzione tra chi è ritenuto un soggetto legittimo di ottenere il diritto all’asilo e alla cittadinanza e chi invece viene escluso da questi diritti. Osservare i confini nella loro dimensione fisica, ovvero ambientale ma anche in quella umana e tecnologica permette di smascherarne l’intrinseco razzismo: il colore della pelle e la fisionomia di una persona diventano infatti motivo di fermo e di controllo dei documenti, attraverso quelle che vengono definite politiche epidermiche. Questa forma di profilazione razziale mira a individuare specifici gruppi, spesso migranti, sottoponendoli a controlli mirati e sistematici.
L’adozione di tecnologie avanzate ha ulteriormente rafforzato i dispositivi di controllo, rendendo il monitoraggio dei corpi migranti sempre più pervasivo. Il sistema Eurodac, istituito il 11 dicembre 2000 dal Consiglio europeo, rappresenta un caso emblematico di questa evoluzione, esempio del legame tra governance e profilazione razziale. Nato per coordinare le richieste d’asilo secondo il Regolamento di Dublino, inizialmente il suo scopo era confrontare le impronte digitali dei richiedenti asilo e dei cittadini di Paesi terzi non appartenenti allo Spazio economico europeo, per determinare lo Stato membro responsabile della gestione delle domande d’asilo. Tuttavia, nel tempo, Eurodac si è trasformato in un sofisticato strumento di sorveglianza estesa: attraverso la raccolta e l’archiviazione delle impronte digitali, assegna ai migranti un’identità biometrica che li rende tracciabili ovunque nell’Unione Europea. Un esempio evidente del legame tra governance e profilazione razziale è la stessa logica securitaria che ha guidato la creazione di questo sistema. Basato su logiche discriminatorie, Eurodac ha progressivamente limitato la libertà di movimento, ostacolando le migrazioni secondarie.
Le critiche al sistema Eurodac sono molte, soprattutto riguardo alla gestione arbitraria dei dati, spesso relativi a gruppi vulnerabili. In un contesto come quello dell’Unione Europea, dove dovrebbe prevalere la libertà di movimento, il sistema appare contraddittorio, soprattutto quando il suo scopo non è più solo determinare quale Stato membro sia responsabile per la domanda d’asilo. Nel tempo, l’accesso al database, inizialmente riservato alle autorità di frontiera, è stato esteso anche ad altri corpi di polizia, consentendo il controllo delle persone registrate anche dopo la domanda di asilo.
Biometria, Eurodac e il Nuovo Migration Pact
La situazione si è ulteriormente aggravata con l’approvazione del nuovo Migration Pact, che amplia i dati raccolti da Eurodac, riguardanti le frontiere interne ed esterne dell’Unione Europea. Verrà utilizzata una tecnologia ancora più invasiva: i dati verranno raccolti in massa da tutti i migranti e conservati nei database europei per dieci anni, resi accessibili alle forze di polizia in tutta l’UE “con scopi di tracciamento e controllo dell’identità”. Questa nuova fase rafforza una tracciabilità che permette di ricostruire i viaggi e le traiettorie burocratiche dei migranti attraverso la raccolta di tracce digitali, consolidando così un sistema di sorveglianza totale. Oltre alle impronte digitali, verranno raccolti numerosi dati biometrici, abbassando l’età di registrazione da 14 a 6 anni, coinvolgendo così anche i bambini, il cui percorso migratorio sarà influenzato da queste procedure di identificazione e registrazione.
Biometria e identità
Il confine biometrico diventa uno strumento che contribuisce a creare barriere e canali destinati a categorizzare, filtrare e canalizzare i flussi migratori, attraverso la creazione di identità digitali ad hoc per chi cerca di accedere all’Unione Europea. Queste identità biometriche alimentano la percezione dei migranti come “indesiderati”, riducendoli a semplici corpi da registrare, privi di una storia personale. Il corpo, in questo contesto, diventa l’identificatore principale dell’identità, svuotando quest’ultima di soggettività e individualità. Quando il corpo è informatizzato, sparisce lo spazio simbolico che separa la persona dal suo identificatore, rappresentando una libertà fondamentale che possiamo controllare individualmente. Invece, con l’identificazione biometrica, il dato diventa il marchio dell'”illegalità”. La possibilità di essere identificati ovunque, per un lungo periodo, porta a una stigmatizzazione dei migranti, che in tutta l’Unione Europea rischiano di essere etichettati come “illegali” o “rifugiati”, una condizione che riguarda chi è costretto a entrare in Europa tramite vie secondarie e illegali.
Questo meccanismo porta alla creazione di un’identità incarnata della migrazione, scritta su un corpo costantemente controllato in tutta l’area Schengen. L’utilizzo di queste tecnologie rende le linee geografiche dei confini tangibili, impresse sui corpi di chi non può attraversarle liberamente. La frontiera non rappresenta più solo un ostacolo fisico; diventa un campo di tensione in cui la ricerca di una vita migliore spesso si scontra con la morte. L’integrazione dello spazio digitale nelle strutture più ampie dell’esperienza vissuta dai migranti influisce anche all’interno degli Stati, incidendo sulla pelle di chi attraversa senza documenti, senza visti, con effetti non solo sul passaggio della frontiera, ma anche sul percorso burocratico e sulle percezioni individuali. La tracciabilità digitale, che consente di seguire i migranti nei loro spostamenti, produce una una moltiplicazione di confini che si riproducono anche all’interno delle società di arrivo. Una volta superati i confini fisici, i migranti si trovano a fronteggiare altri confini invisibili, interni agli Stati, che danno vita a un sistema di inclusione differenziale che impatta enormemente sulla vita di tutti coloro che si trovano ad affrontare viaggi migratori che non terminano mai con l’arrivo nel Paese eletto a destinazione finale.