Le storie degli ultimi eroi occidentali prendono spesso avvio in uno scantinato. Solitamente quello dei genitori. Rigorosamente a piedi nudi o munite di ciabatte e sandali di dubbia provenienza. Le felpe dei college americani lasciano presto il posto a t-shirt scolorite stese al sole della California. La vicenda si ripete su percorsi simili come nei romanzi di formazione. Un periodo di incubazione di potenziale inespresso, poi un’esplosione inaspettata che cambia le regole del gioco. Rimane come l’impressione che avvenga di continuo, nei luoghi più improbabili, sotto gli occhi chiusi del mondo intero.
Sono storie da film, in effetti, o meglio: sono la realizzazione di quei film a cui Hollywood ci ha abituati fin da quando eravamo in fasce. C’è un ragazzino strambo pieno di acne che passa il tempo chiuso in una stanza. Non ha una vita sociale intensa, pochissimi amici strambi più o meno quanto lui. Ma il ragazzo nasconde un mistero, una scintilla brilla in lui celata al resto dell’umanità, soprattutto alla ragazza popolare della scuola di cui si è sfortunatamente innamorato. Ora, nei fumetti il ragazzo si toglie gli occhiali dalle lenti spesse e, nottetempo, si avventura per la città sventando ogni genere di atto criminale. Cominciano ad apparire sui giornali le prime foto sfocate e, poi, i titoli scioccanti che lo ritraggono sempre in bilico tra l’eroe e il nemico pubblico numero uno.
Bill Gates, Steve Jobs, Mark Zuckerberg, hanno in comune un passato accademico tutt’altro che lineare, non certo per una inadeguatezza intellettiva, quanto per un surplus di capacità immaginifica. I contorni atipici delle vite dei tre weird hanno, di fatto, modificato i parametri del sogno americano. Non ci sono quarterback nel trio, né campioni di nuoto, eppure l’epopea tecnologica ha condotto i tre ben oltre una casa con giardino e steccato bianco.
Fin dalla gioventù Bill Gates prova un senso di attrazione fatale per la tecnologia informatica. Ha accesso limitato a un computer presente nella sua scuola. Insieme ad alcuni compagni riesce ad esaurire tutte le ore a disposizione per l’utilizzo della macchina da parte degli studenti nel giro di poche settimane. La passione si concentra sul funzionamento del dispositivo e sul software. Insieme al compagno di scuola Paul Allen, Bill fonda la Traf-O-Data, una società che progettò un computer utilizzato per misurare il traffico stradale. L’impresa fruttò 20.000 dollari e fu il banco di prova per la futura Microsoft. Bill aveva 17 anni.
È risaputo che Steve Jobs diede avvio alla sua carriera all’interno di un angusto garage. Insieme a Steve Wozniak Jobs fondò la Apple Computer. L’idea di creare un oggetto di alta qualità estetica e dotato di un sistema funzionale e semplice non sempre portò ai risultati sperati. Le scelte, non sempre condivise, di Jobs, e la crescita esponenziale della società ormai diventata miliardaria, portarono alla nascita di un rapporto altalenante. Tuttavia, Apple chiamò Steve Jobs indietro quando, nel 1997 dovette affrontare un periodo in perdita. Con una rivoluzione aziendale Jobs risollevò le sorti di Apple. La larga diffusione dell’interfaccia grafica e del mouse derivano anche dalle sue intuizioni.
Mark Zuckerberg pianificò Facebook dalla sua stanza nel College di Harvard. Aveva riscosso una certa notorietà col lancio di un sito che metteva a confronto le foto di diverse ragazze frequentanti i campus nella zona. La vera idea fu quella di inserire la possibilità del voto. Gli utenti potevano decretare la vittoria e la sconfitta di una delle due foto messe a confronto. La connessione di Harvard andò in crash nel giro di 4 ore. Contattato da altri studenti che avevano in mente di creare un nuovo sito su cui presentare le pagine degli studenti di Harvard, Zuckerberg intuì un enorme potenziale e introdusse alcune modifiche cruciali rivendicandone il merito. Il meccanismo del vincono dell’amicizia virtuale necessario per l’accesso ai contenuti replicava i rapporti sociali del college e del mondo. Ogni social network parte da qui.
Il 13 marzo scorso Bill Gates ha abbandonato il cda di Microsoft per dedicarsi integralmente alla beneficenza tramite l’associazione fondata insieme alla moglie. Il segno lasciato nell’economia mondiale, ma soprattutto nella cultura di massa, da lui e altri rari esempi, determina la versione attuale del sogno americano. Il successo in termini di ricavo e di potenza sul mercato è in realtà il lato del sogno più banale. Lo stesso che avrebbe spinto un ragazzo negli anni ottanta a lavorare come broker per i grandi istituti finanziari. Qui c’è qualcosa di più profondo e meno diretto e ha strettamente a che fare con una sorta di rivalsa culturale, una nuova generazione che spinge ai cancelli della società impetuosamente.
Il successo e le implicazioni economiche cedono il passo alla capacità creativa. Nei meandri immateriali di un programma informatico è realmente possibile dare forma a mondi paralleli. La dinamica curiosa è quella che indica il fatto che la programmazione proceda seguendo linee di umanizzazione. Replicare lo sguardo, la mimica, i gesti e le relazioni umane in una macchina sembra essere alla base della soddisfazione degli utenti. Le potenzialità del mezzo sono stimate in base alla somiglianza all’uomo. Così non si cerca solo la soddisfazione di un bisogno, ma il dialogo tra la macchina e l’uomo.
Tutte le più grandi innovazioni tecnologiche del terzo millennio sono il frutto della ricerca di un dialogo. Tutti gli eroi nerd della rivoluzione informatica hanno offerto parole, immagini e voci a oggetti inanimati. Il nuovo sogno è diventato ora anche questo: allargare i confini della presenza della nostra specie su questa terra, in qualunque forma, su qualunque mezzo.
Paolo Onnis