In questi giorni di pandemia, i libri rappresentano per tantissimi un conforto e una forma di evasione dalle difficoltà presenti. Non solo. Leggere lo stesso libro, commentarne i passi salienti con i propri cari o con appassionati sconosciuti si rivela un piacere più forte della solitudine. Ben vengano, allora, le scorte di libri accumulatesi per anni sul comodino, sugli scaffali, sulle scrivanie e perfino nella dispensa! Così, mentre la quarantena preclude le biblioteche e i librai di fiducia, intanto che anche la grande distribuzione è in affanno, può sorgere una domanda. Ovvero: quanti e quali libri dovrebbe contenere la biblioteca privata ideale?
“Che domanda!”, riderà ogni lettore vorace, “La biblioteca privata ideale, ovviamente, deve contenere infiniti libri”. È un ottimo punto, se pensiamo al piacere selvaggio che pervade ogni bibliofilo di fronte allo spettacolo offerto da alcune biblioteche. Basti pensare a quella del Trinity College di Dublino, o alla Biblioteca Civica di Stoccarda. Il fatto è, però, che risulta arduo ospitare in un’abitazione comune un così gran numero di libri, anche ammesso di stiparla fino al soffitto. Occorrerà, ahimè, operare una scelta. Secondo quali criteri, allora, dovremmo selezionare i nostri coinquilini letterari?
Una (involontaria) indicazione proviene dalla lettera che Gustave Flaubert scriveva a Mademoiselle Leroyer de Chantepie il 18 marzo 1857. In essa, l’autore di Madame Bovary ammoniva:
Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere.
Ma come si legge per vivere? E, di conseguenza, quali testi dovremmo proprio tenere con noi? Per farcene un’idea, possiamo valerci del parere degli esperti: cioè, degli innamorati della lettura vicini e lontani.
Il primo cui rivolgerci è il filosofo latino Seneca. In una lettera all’allievo Lucilio, il pensatore stoico citava uno sgomento che ben conosciamo. Quello – alzi la mano chi non l’ha provato almeno una volta! – di fronte a una pila di libri accumulati, letture da iniziare o da proseguire. Ebbene sì, osservava Seneca, anche l’eccesso di libri può mettere in difficoltà. E offriva al suo protetto questo consiglio per risolvere il problema:
Non riuscendo a leggere tutti i libri che potresti procurarti, è sufficiente per te possedere quanto tu legga.
Non si tratta, va notato, semplicemente di un invito a non esagerare nell’acquisto di libri. In questo monito, in realtà, si cela un preciso insegnamento sulla lettura.
Per la filosofia stoica, infatti, leggere era una componente fondamentale della formazione individuale che si protraeva per tutta la vita. Leggendo pensatori e testi scelti cui affidarsi come a una guida, si traevano insegnamenti che avrebbero offerto le risorse per affrontare ogni difficoltà. Ciò, tuttavia, risulta possibile ancora oggi soltanto se – come suggeriva Seneca – ci si prende il tempo per lasciar sedimentare quanto letto. Permettendo al libro, di fatto, di diventare parte di noi.
Che coi libri letti e amati – o fieramente detestati – si instauri un dialogo interiore ininterrotto è, del resto, una certezza anche per i bibliofili contemporanei.
Da questo dialogo, secondo molti, scaturisce la possibilità di comprendere in modo inedito la realtà e il tempo che viviamo. Italo Calvino, ad esempio, nel saggio Perché leggere i classici, affermava il valore assoluto di un libro che
tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo ma, nello stesso tempo, di questo rumore di fondo non può fare a meno.
Ora, proprio questa possibilità ermeneutica derivante dalle nostre letture rende insoddisfacente l’invito alla temperanza letteraria di Seneca. Infatti, osservava Calvino, la molteplicità delle letterature, delle pubblicazioni e dei saperi rende oggi risibili i tentativi di costruzione puristi di una biblioteca privata ideale. Pertanto, conclude,
Non resta che inventarci ognuno una biblioteca ideale dei nostri classici. E direi che essa dovrebbe comprendere per metà libri che hanno contato per noi, e per metà libri che intendiamo leggere presupponendo possano contare. Lasciando una sezione di posti vuoti per le sorprese, le scoperte occasionali.
Durante un famoso intervento alla Fiera del Libro di Torino del 2007, Umberto Eco affermò: «Un libro ci consente di vivere più e più intensamente di quelle poche decine di anni che la biologia ci consente.»
Nello stesso intervento, lo studioso descriveva le biblioteche private come qualcosa di più che mere collezioni di libri. Secondo Eco, la biblioteca di casa è “un organismo vivente con vita autonoma ”.
Per questa ragione, mi si permetta di concludere questa riflessione riservando un posto d’onore nella biblioteca privata ideale ai libri ricevuti in dono. Si dona un libro, infatti, per le ragioni più svariate. Può essere un regalo dell’ultimo minuto quando si è a corto di idee. Spesso, però, esso è il veicolo per condividere una storia o un pensiero che si sono particolarmente amati o che hanno fatto riflettere. Qualche volta, addirittura, chi ci dona un libro lo fa perché in esso ha scorto qualcosa di noi.
In ogni caso, comunque, il donatore rivolge con il libro donato un meraviglioso augurio a chi lo riceve.
Quello di poter godere, per un giorno o anche solo per qualche ora, della tranquillità e del tempo necessari per immergersi in quella lettura. Magari condividendone, anche a distanza nello spazio o nel tempo, l’intrinseco piacere. È soprattutto alla luce di questo aspetto relazionale che, a mio parere, s’invera nella nostra biblioteca privata una famosissima sentenza di Daniel Pennac:
il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.
Valeria Meazza