“Signori, magistrati, moralizzatori: vorrei sapere in quale forno crematorio sarà bruciato il negativo di Ultimo tango a Parigi”.
Con queste parole affidate a una lettera aperta, il regista Bernardo Bertolucci commentava la decisione della Corte di Cassazione di distruggere tutte le copie di quello che, da quel momento diventa; “il film più censurato della storia”.
Era il 1976 e dopo l’epopea della rivoluzione contadina e proletaria di Novecento, l’Italia delle bombe e dei compromessi tornava a schierarsi a fianco del costume e contro la morale dell’arte. Ma molti non sapevano o volevano ignorare che quell’atto così politico avrebbe consegnato un’opera considerata controversa e scandalosa, nell’Olimpo dorato di Hollywood e della storia del cinema.
Ed è cosi che i film di Bernardo Bertolucci diventano un manifesto provocatorio e ossessivo delle contraddizioni di una società confusa.
Una realtà che da sfogo alle sue perversioni, nel segreto di una stanza dalla quale osservare il mondo e prendersi gioco della sua falsità. La sfida del voyeurismo militante che oggi sembra più attuale che mai, nasce proprio da quel appartamento dei piaceri segreti, ma chissà come sarebbe stato accolto un film del genere nel 2018, sotto lo sguardo imperscrutabile del #Metoo e dei social network!
Ora che anche l’ultimo poeta rivoluzionario e anticonformista del cinema italiano ha lasciato questo mondo, a 77 e dopo una lunga malattia, torniamo con la mente e il cuore ai capolavori che hanno segnato una generazione, sentendoci nuovamente “più soli” perché consapevoli che, mai più si ripeterà un’esperienza così profonda e carica di significati di quella vissuta nel ‘900, dalla “settima arte”.
Vita e politica; un binomio quasi onnipresente per un genio capace di esplorare con sagace naturalezza l’iperrealismo della Nouvel Vague così come la storia più antica e misteriosa dell’umanità. Bernardo Bertolucci ha saputo anticipare il sessantotto con Prima della Rivoluzione, salvo poi riproporlo in quella chiave crepuscolare, borghese e intimista che è The Dreamers. Ha saputo raccontare la provincia emiliana e l’apogeo delle lotte contadine contro il regime fascista, con quel colossal che è Novecento, ma che fu mal digerito proprio dal PCI di quell’epoca.
Bernardo Bertolucci è questo e altro: un oscar per L’Ultimo imperatore dove riesce a colorare di innocenza e purezza quel bambino destinato alla grandezza, strizzando l’occhio al Grande Dittatore di Chaplin, perché ciò che Bertolucci aveva davvero a cuore era mettere a nudo l’umanità dei protagonisti, i misteri ma anche le debolezze. Marlon Brando come Robert De Niro; entrambi feticci della storia del loro tempo; un’epoca dove i diversi linguaggi del cinema hanno attraversato le grandi vicende della storia e, in alcuni casi, condizionato gli esiti.
Bernardo Bertolucci resta un altro grande interprete delle nostre colpe e dei nostri sogni . Con lui è come se davvero stesse per chiudersi una stagione nel quale il cinema italiano ha dettato la linea per accedere alla mitologia del significato, ma la sua opera lo consacra di fatto, parafrasando la scena di Freaks del 1932: “uno di noi”!
Fausto Bisantis