Bernard Buffet, Parigi 1928- Tourtour 1999. Pittore, scultore, litografo.
Bernard Buffet, il pittore d’inchiostro. Segno particolare, intenso, pieno. Trovate cenni biografici sul sito dedicato alla sua carriera, lunga e coronata da riconoscimenti vari eppure non famosa come ritengo sia opportuno.
Un tratto dall’intensità adatta per un francobollo, ecco com’è la pittura di Buffet. Tra quadri a olio, litografie e ibridi nati dalle due tecniche, il disegno di Buffet è teso, graffiante e nervoso, come colpi veloci e irruenti lasciati sulla tela. Uomini geometrici, rigidi ma con gli occhi giganteschi che parlano ed esprimono tutta la loro umanità: la storia di clown tristi e di prostitute; la sua Annabelle in t-shirt e jeans, le sue figlie dai capelli sinuosi, i suoi pittori e le sue modelle e i suoi autoritratti negli anni, raffiguranti un uomo che invecchia sì, ma sempre con la stessa intensità nel viso.
Quando l’inchiostro si fa strada in una tecnica pittorica il risultato è quasi sempre lo stesso: non importa il disegno, realistico o meno, ciò che viene raffigurato sembra sempre estremamente caricaturale, come un fumetto. Eppure, a differenza di certi tratti già incontrati in precedenza, con il disegno di Buffet abbiamo uno scorcio di realtà da far tremare le budella: corpi nudi e sgraziati, facce a volte talmente tristi e stravolte da far venire un magone; suggestioni tali da far percepire un quadro come irreale, sovrapposto immagine dopo immagine, eppure vero, tangibile, riconoscibile come qualcosa visibile ogni giorno intorno a noi.
Immagini di solitudini umane, concetto sempre irreale perché non interiorizzato da ognuno di noi, eppure proprio come i disegni di Buffet, reale, tutto intorno.
Quadri di paesaggi, da New York a Venezia: certi cieli squadrati, dati da colpi secchi di pennelli rettangolari, altri morbidi, con nuvole di aria. Un stile disorientante dunque: certo le litografie sono riconoscibili e abbracciano tutte uno stesso tratto, ma quando la litografia incontra la pittura, invece, ogni dettaglio del quadro si scontra con quello vicino. Forse è un effetto voluto, una costante lotta interiore all’interno della stessa raffigurazione.
“Graffiare” è il verbo che indica al meglio la sensazione che si riceve. Perché i volti, le membra, persino i palazzi raffigurati fanno questo: graffiano. E nel graffiare stupiscono e lasciano che un semplice ritratto di un paesaggio ti affascini, ti tenti nel voler toccarlo e scoprire se ti macchi le mani o meno, se nonostante il tempo rimanga fresco come fresco rimane la visione di quei volti, a un tempo addolorati e doloranti.
Tutto è al suo posto, nei quadri di Buffet, dentro una geometria dal disordine ordinato. Corpi scheletrici perfettamente in linea con la parete: l’umanità che si allinea anche quando è infelice, una sorta di costante richiamo alla realtà che viviamo con la delicatezza di chi le cose le dice ma in silenzio, con disegni sporchi e d’effetto.
Così come nella tecnica litografica il segno che definisce l’immagine non è quello lasciato dall’inchiostro, nella parte “in negativo” della stampa, bensì il contorno che rimane fuori, così tutta la pittura di Buffet è da percepire ed elaborare: tutto ciò che lasciamo fuori dai nostri confini personali è reale, impresso nella quotidianità, un dolore e una malinconia che può sempre accompagnarci ma che ignoriamo.
Lo sporco che è dentro di noi, come un tratto grezzo e rigido che ci appartiene.
Gea Di Bella