Il Decreto sicurezza è stato approvato dal Senato con il voto di fiducia. La Camera lo passerà in esame il 22 novembre. Cosa preveda il testo del decreto, ormai, è noto a tutti: ferrea lotta all’immigrazione clandestina – e non solo – investimenti sulla sicurezza pubblica, riorganizzazione dell’Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati. Quest’ultimo punto ha suscitato notevoli polemiche. Ma procediamo con ordine.
La confisca dei beni alle mafie è uno strumento nato nel 1982 grazie a Pio La Torre, assassinato nello stesso anno da Cosa Nostra proprio per aver proposto la 416bis, che riconosceva il reato di associazione mafiosa e la norma per il sequestro dei beni. La legge fu rafforzata nel 1996, destinando i beni a un riutilizzo pubblico e sociale. Oggi coinvolge quasi ottocento associazioni, cooperative sociali, diocesi, parrocchie, gruppi scout. E’ questo “riutilizzo pubblico e sociale” che il Decreto sicurezza sembra voler minare.
Il contratto di governo
“Bisogna implementare gli strumenti di aggressione ai patrimoni di provenienza illecita, attraverso una seria politica di sequestro e confisca dei beni e di gestione dei medesimi, finalizzata alla salvaguardia e alla tutela delle aziende e dei lavoratori prima dell’assegnazione nel periodo di amministrazione giudiziaria”. Sono queste le parole usate nel contratto di governo Lega-M5s per contrastare la criminalità organizzata. Tuttavia sembra che dalla teoria alla pratica si sia inciampati in qualche scivolone.
L’aggressione ai patrimoni illeciti, ovvero la procedura di sequestro e confisca, non verrà implementata, bensì svuotata del valore sociale che oggi la legge prevede. I beni confiscati potranno essere venduti all’asta al “miglior offerente“, competendo a colpi di rilancio con gli enti sociali.
Come fermare le violenze mafiose, come risalire ai clan, come intercettare i più pericolosi boss del Paese, sono tutte questioni non ritenute abbastanza urgenti da essere inserite in un decreto legge. D’altronde le stragi non si fanno più come una volta. Non siamo più in pericolo. Tanto le mafie oggi puntano sull’economia. Ma andiamo a chiederlo ai quartieri più malfamati della Campania o della Sicilia se le sparatorie, le intimidazioni, le minacce, oggi, non esistono più.
E per la tutela delle aziende confiscate e dei lavoratori? Al momento, tutto tace.
La nuova gestione dei beni
Analizziamo nel dettaglio la nuova gestione dei beni. Innanzitutto, l’acquirente potrà richiedere il condono edilizio per gli immobili confiscati entro 120 giorni dall’acquisto del bene. Ma non ci sorprendiamo. La novità che desta più sospetti è il conflitto di interessi in cui rischia di cadere l’Agenzia: prima del decreto, la somma della vendita veniva equamente divisa tra Ministero dell’Interno e Ministero della Giustizia. Ora il 20% spetterà anche all’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati, colei che decide la loro destinazione e amministrazione. Avrà dunque un interesse finanziario notevole sul loro rendimento e di conseguenza sarà più incentivata a vendere piuttosto che operare per un riutilizzo pubblico e sociale dei beni. E riguardo alla destinazione degli immobili, il decreto sicurezza non richiede più l’autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri, ma quella del Ministro del Interni. Un’abile e silenziosa mossa di accentramento di potere, quella di Matteo Salvini.
Altro tendine d’Achille del decreto sicurezza è l’assegnazione illimitata degli incarichi di gestione: prima uno stesso soggetto poteva occuparsi al massimo di tre beni immobili; ora, quanti più riesce a portarsene a casa con la novità della messa all’asta.
Le polemiche delle associazioni
Le associazioni, ovviamente, non sono rimaste in silenzio. Acli, Arci, Avviso Pubblico, Centro Studi “Pio La Torre”, Legambiente, Libera, Cgil, Uil hanno collettivamente scritto un appello da lanciare all’attuale Governo.
Suggeriscono di ricorrere alla vendita dei beni confiscati come extrema ratio e non come scorciatoia e ribadiscono che deve essere realizzata in modo controllato. La possibilità di infiltrazioni mafiose, interessate a riappropriarsi di quanto è stato loro tolto, è indubbiamente alta. E non tenerlo in considerazione è da allocchi. “La vendita dovrà inoltre essere accompagnata da un serio progetto di riutilizzo, attentamente valutato da organi statali”, sottolinea l’appello. Niente ville con piscina per i privati interessati.
Libera, l’associazione di Luigi Ciotti che dal 1995 lotta in prima fila per contrastare la criminalità organizzata, scrive in un suo comunicato: “La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti, grazie al lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura, avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle Istituzioni. Insomma, un vero regalo alle mafie e ai corrotti.“
Effetti e conseguenze
Ma cosa comporterà in termini pratici, il Decreto Sicurezza? Partendo dal nodo centrale del decreto legge, ovvero dalla dura politica contro l’immigrazione, le conseguenze saranno tragiche, ma prevedibili: l’aumento della clandestinità fornirà alla criminalità fresca e giovane manovalanza disperata e facilmente ricattabile. Ed è la vittoria delle mafie, rese potenti proprio grazie alla quantità di immobili che hanno a disposizione: per riciclaggio, per traffico di droga, per smaltimento illecito, i beni sono la potenza della criminalità organizzata. Quanto più ha, tanto più riesce a fare. E quanto più riesce a fare, tanto più lo Stato perde di credibilità, disilludendo coloro che quotidianamente sperano in una sua decisiva presa di posizione e convincendoli di non poter trovare altra via di scampo dalla mafia, se non nella mafia stessa.