“Bella ciao”, i versi che hanno segnato un’epoca
La storia di “Bella Ciao” è tanto particolare da rendere il canto popolare più famoso in Italia (e oggi più famoso al mondo) una vera e propria leggenda e, talvolta, diviene uso improprio di coloro che ne ignorano il significato. Come tanti canti popolari l’origine è di dubbia natura e dell’autore non vi è traccia. La nascita della canzone deriverebbe da alcuni canti delle mondine in Piemonte ad inizio ‘900 descrivendone in dialetto il duro lavoro nei campi. Formalmente il canto fu riproposto circa venti anni dopo la guerra quando i partigiani avevano deposto le armi già da tempo.
Prima adottato dalla Democrazia Cristiana all’atto della presentazione di ex partigiani nelle fila del partito, fu poi ripreso dalla Sinistra che lo elevò a simbolo della Resistenza. Eppure, secondo alcune fonti, il canto fu composto in forma embrionale già nel 1944 dalle brigate partigiane sparse un po’ per tutto il paese. Anche qui, però, l’inesattezza delle fonti potrebbe trarre in inganno: non è chiaro quale brigata avesse fatto proprio l’inno scrivendone i versi.
A dispetto dell’origine o della proprietà intellettuale, il significato di questo canto s’imprime nei cuori e nelle menti di coloro che ripudiano ogni forma di fascismo e violenza; di generazione in generazione. Pertanto, non vi è discussione che possa inficiare il contenuto di “Bella Ciao” e renderla una mera questione di diritti e date di pubblicazione. Eppure, negli ultimi anni, lo show business (e non solo) ha sfruttato “Bella Ciao” per un utilizzo prettamente estetico, complice anche l’orecchiabile motivo del canto. Un patrimonio di storie, lotte per la pace e l’uguaglianza tra i popoli dissipato nel nome dello show business. “Bella Ciao” non merita tutto questo.
La Casa di Carta e l’utilizzo senza vergogna di “Bella Ciao”
Un classico esempio di uso improprio di “Bella Ciao” è riconducibile alla serie Netflix La Casa di Carta. Nella serie, un gruppo di ladri si distingue per mirabili rapine all’interno delle più importanti banche spagnole. Nella serie i protagonisti principali cantano l’inno della Resistenza a più riprese. Le ragioni? Non ci sono. “Bella Ciao” è di facile ascolto: ripetitiva al punto giusto, evocativa e dal ritmo incalzante. Pertanto, la scelta a livello estetico è geniale, specialmente per un prodotto del genere che mischia l’adrenalina al dramma. Il personaggio del Professore, come raccontato dalla voce narrante della serie, ha imparato questa canzone dal nonno, combattente a fianco dei partigiani contro il fascismo in Spagna.
Il Professore ne fa un motto contro la dittatura delle banche in Europa. Lo sceneggiatore Santander ha, inoltre, raccontato di aver appreso questo canto all’università e poi riportato ne La Casa di Carta. Peccato che un gruppo di ladri, il quale scopo di identifica nella rapina, non si confà alle tematiche espresse da “Bella Ciao” e, anzi, non ne rispetta il dramma e la storia. Un utilizzo senza vergogna di un canto tanto forte quanto particolare che, tra l’altro, ha sconfinato al di fuori della Spagna e del mondo Netflix. Il problema principale è proprio questo: “Bella Ciao” è mutato in “la canzone de ‘La Casa di Carta’”, detta con l’ignoranza di influencer o semplici spettatori che ovviamente rimangono all’oscuro circa il significato e la sofferenza della canzone.
“Bella Ciao” in Ucraina: riadattare il testo è necessario?
“Bella Ciao” è un canto popolare contro la guerra. In questo infausto periodo storico è stata riportata in auge attraverso video sia in Italia che in Ucraina. Tale Khrystyna Soloviy, cantante folk ucraina, ne ha riadattato il testo in chiave odierna. Per prima cosa, riadattare e appropriarsi di un testo che ripudia ogni tipologia di guerra e che accomuna tutti i popoli risulta francamente insolente, ma non è tanto questo il problema. Se andiamo ad analizzare con precisione il testo, un verso balza subito agli occhi: “Nessuno ci pensava, nessuno sapeva quale fosse l’ira ucraina. Uccideremo i boia maledetti senza pietà, coloro che stanno invadendo la nostra terra”.
“Uccideremo i boia maledetti senza pietà” stride con la versione italiana (e internazionale) di “Bella Ciao”. Nel canto popolare contro la guerra non si fa mai menzione al nemico o ad un presupposto contrattacco della Resistenza. La violenza non è contemplata in “Bella Ciao”, un inno alla pace e all’unione tra i popoli. La morte da partigiano è quanto di più onorevole possa fregiarsi un patriota. Nel riadattamento di Soloviy, sembra acuirsi il tema della morte dell’invasore per mano di chi si difende e non il trapasso di coloro che lottano per la patria stessa. Colui che “resiste” non si abbandona alla violenza e non ne fa un caposaldo se non per ultima difesa. È questo ciò che ci insegna “Bella Ciao”: lottare contro ogni forma di ingiustizia e sacrificarsi se necessario.
Il contesto ucraino e l’ideologia filonazista
Altro aspetto importante, oltre alle parole, è il contesto in cui il canto è riadattato e suonato. L’Ucraina, a differenza dei partigiani nella Seconda Guerra Mondiale, non soffre dell’occupazione nazifascista e, anzi, coltiva un sentimento ultraconservatore cresciuto a dismisura negli ultimi anni. Come ben sappiamo, le milizie ucraine sono forgiate da pensieri filonazisti che nella Russia trovano il nemico ideale. Pensiamo, ad esempio, alla mole di ultras, ora in guerra, che vantavano una vicinanza all’ideologia nazista esposta negli stadi tramite bandiere o striscioni.
Anche nel testo della Soloviy emerge un tratto filonazista che difficilmente passa inosservato: il tema dei veri eroi, della guerra e della morte del nemico come ascesa alla purezza si scontrano con le tematiche di “Bella Ciao” e ne usurpano il valore. Il timore, quindi, è che le milizie ucraine possano usufruire di questo inno che, in tal caso, vedrebbe deviato il proprio significato a favore di soldati che cullano idee malsane e distanti anni luce dalla storia e dalla sofferenza della lotta partigiana.
Lorenzo Tassi