In una sentenza che segna un punto di svolta nella storia delle responsabilità coloniali europee, la Corte d’Appello di Bruxelles ha dichiarato lo stato del Belgio colpevole di crimini contro l’umanità per il rapimento di cinque bambine congolesi durante l’epoca coloniale. La decisione, resa pubblica lunedì, riconosce ufficialmente le gravi violazioni dei diritti umani subite da migliaia di bambini métis – termine utilizzato per indicare i figli nati da madri congolesi e padri belgi – tra il 1948 e il 1961. Questi atti, perpetrati con la complicità dello Stato e di istituzioni religiose, rappresentano una delle pagine più oscure della storia coloniale belga.
Un’eredità di sofferenza: il contesto storico
Il Congo fu una colonia del Belgio dal 1908 al 1960, dopo un periodo di brutale sfruttamento sotto il dominio personale del re Leopoldo II, che trattava il territorio come una proprietà privata. In questa cornice di dominio coloniale, il rapimento sistematico dei bambini métis si inserisce come un tassello della più ampia politica di controllo e segregazione razziale. Il Belgio, come molte potenze coloniali dell’epoca, considerava i métis una “categoria problematica”, percepiti come un ponte scomodo tra la popolazione indigena e gli europei.
I bambini métis, nati da unioni spesso non consensuali tra uomini bianchi e donne congolesi, furono oggetto di un trattamento discriminatorio e violento. Le autorità coloniali, con il sostegno della Chiesa cattolica, consideravano questi bambini come una minaccia all’ordine razziale e sociale. Perciò, decine di migliaia di loro furono strappati alle loro famiglie, separati dalla cultura e dalla comunità d’origine, e trasferiti in Belgio.
La sorte dei bambini sottratti
Tra il 1948 e il 1961, si stima che tra 15.000 e 20.000 bambini métis siano stati vittime di questa politica di rapimento. Una volta portati in Belgio, i bambini venivano affidati a orfanotrofi e altre strutture gestite da enti religiosi, principalmente la Chiesa cattolica. Qui, non solo erano costretti a vivere in condizioni di isolamento, ma spesso subivano gravi abusi fisici e psicologici.
Uno degli aspetti più inquietanti di questa vicenda riguarda la manipolazione dell’identità dei bambini. Molti di loro furono registrati con nomi e date di nascita falsificati, rendendo quasi impossibile per le famiglie d’origine rintracciarli. Questa pratica di cancellazione dell’identità ha avuto conseguenze devastanti, lasciando cicatrici indelebili nelle vite di coloro che ne furono vittime.
La testimonianza delle vittime e il lungo cammino verso la giustizia
Le cinque donne che hanno portato il caso davanti alla Corte d’Appello di Bruxelles sono solo alcune delle migliaia di vittime che hanno subito queste atrocità. Nate in Congo da madri congolesi e padri belgi, furono rapite da bambine e trasferite in Belgio, dove vissero in istituzioni religiose in condizioni degradanti. Le loro testimonianze, raccolte negli anni recenti, offrono un resoconto vivido e doloroso di anni di abusi, discriminazioni e perdita di identità.
Il percorso giudiziario per ottenere giustizia è stato lungo e complesso. Nel 2021, un tribunale di primo grado aveva respinto la denuncia delle cinque donne, sostenendo che i crimini non potessero essere qualificati come crimini contro l’umanità. Tuttavia, la sentenza di lunedì rappresenta un ribaltamento significativo. La Corte d’Appello ha riconosciuto che il rapimento sistematico dei bambini métis e il trattamento loro riservato costituiscono crimini contro l’umanità, poiché furono atti pianificati e perpetrati nell’ambito di una politica di segregazione e discriminazione razziale.
Le responsabilità dello Stato belga e della Chiesa cattolica
La sentenza della Corte d’Appello pone una nuova enfasi sulle responsabilità istituzionali dello Stato belga e della Chiesa cattolica, entrambi complici nella pianificazione e nell’esecuzione di questi crimini. Lo Stato, che deteneva il controllo amministrativo sul Congo, è stato ritenuto direttamente responsabile per le politiche di rapimento e per la gestione delle strutture in cui i bambini venivano rinchiusi. La Chiesa cattolica, invece, è stata identificata come un partner fondamentale, avendo operato gli orfanotrofi e sostenuto la segregazione razziale che legittimava tali pratiche.
Questa complicità istituzionale solleva domande cruciali sul ruolo delle autorità religiose e civili nel mantenere e giustificare le strutture oppressive del colonialismo. Sebbene la Chiesa cattolica non sia stata direttamente imputata nel processo, il suo coinvolgimento emerge chiaramente dalle testimonianze delle vittime e dalla documentazione storica.
Un passo verso il riconoscimento e la riparazione
La sentenza rappresenta un importante passo avanti nel riconoscimento delle ingiustizie coloniali, ma solleva anche questioni più ampie sul tema delle riparazioni. Sebbene le cinque donne coinvolte abbiano ricevuto un riconoscimento legale, il risarcimento finanziario o simbolico per il danno subito resta un tema aperto. Molte vittime e le loro famiglie continuano a chiedere scuse formali e misure concrete da parte dello Stato belga.
Negli ultimi anni, il Belgio ha iniziato un difficile processo di riflessione sulla sua storia coloniale. Nel 2020, re Filippo ha espresso “profondo rammarico” per le atrocità commesse durante il dominio belga in Congo, ma le sue dichiarazioni sono state criticate da alcuni come insufficienti. La sentenza della Corte d’Appello, dunque, potrebbe accelerare il dibattito su come affrontare pienamente l’eredità del colonialismo.
Implicazioni internazionali
Il caso belga si inserisce in un contesto internazionale in cui sempre più paesi si trovano a fare i conti con i crimini coloniali. Da tempo, nazioni come la Francia, il Regno Unito e la Germania affrontano richieste di giustizia e riparazione per le violazioni dei diritti umani commesse nei loro imperi coloniali. La decisione della Corte d’Appello di Bruxelles potrebbe costituire un precedente importante, incoraggiando altre vittime di crimini coloniali a cercare giustizia attraverso i tribunali internazionali.
Conclusioni
Dichiarando il Belgio colpevole di crimini contro l’umanità per il rapimento dei bambini métis, il verdetto offre un primo passo verso la giustizia per le vittime e invita a una riflessione più ampia sulle ingiustizie coloniali.