Siamo abituati ad immaginarci Beethoven come un misantropo, un signore burbero di poche parole ma capace della più grandiosa musica mai scritta. Ma chi era in realtà? Il Testamento di Heiligenstadt ci racconta dell’uomo Beethoven e della sua sconfinata sofferenza.
Ludwig van Beethoven si rese conto del peggiorare del suo udito attorno al 1796. Ancora oggi, non sappiamo con certezza quale fu la causa della sua malattia. Alcuni hanno ipotizzato una labirintite cronica, altri che avesse l’otosclerosi, ovvero una rara malformazione microscopica dell’osso all’interno delle pareti dell’orecchio, altri ancora, che soffrisse della malattia ossea di Paget.
Qualunque ne sia stata la causa, Beethoven perse gradualmente la possibilità di sentire. Inizialmente, gli fu impossibile riconoscere suoni lontani, successivamente, la sordità divenne totale, impedendogli anche di percepire le vibrazioni che il pianoforte produceva quando il musicista ne pigiava i tasti. Si racconta, infatti, che Beethoven avesse tagliato le “zampe” dello strumento per appoggiarlo al pavimento, in modo da poter sentire, con l’orecchio al suolo, la vibrazione prodotta dalla meccanica dei tasti e poter riconoscere le note.
Il crescente disagio e l’impossibilità di rivelarne i motivi, obbligarono il compositore ad estraniarsi dalla società e ne provocarono le accuse di misantropia a lui rivolte. La solitudine ed il sentimento crescente di frustrazione, tuttavia, non resero Beethoven totalmente passivo alle sue sventure. Si dedicò costantemente, dal 1802 al 1808, per tutto il periodo definito “Eroico” alla sua arte e al superamento della sua crisi fisica e psicologica, attraverso l’amata musica, che lo condusse alla composizione della celebre Quinta sinfonia.
Abbiamo testimonianza dello stato d’animo di Beethoven in quei giorni grazie al fortuito ritrovamento di un testamento spirituale e non, nell’abitazione della casa di Heiligenstadt, sobborgo viennese dove il Maestro viveva. In un cassetto segreto, infatti, sono sta
ti rinvenuti una lettera/testamento destinata ai fratelli di Beethoven, Kaspar Karl e Nikolaus Johann, un dipinto raffigurate una donna non ancora identificata e un altro celebre scritto del musicista, la Lettera all’amata immortale.
Il Testamento di Heiligenstadt, è una “riconciliazione” tra Beethoven ed il mondo dal quale si era allontanato a causa della crescente sordità. Il Maestro spiega ai suoi fratelli il motivo del suo allontanamento e si scusa per aver tradito il suo reale sentimento di benevolenza ed affetto fraterno nei loro confronti, da sempre e naturalmente radicato nel suo animo.
“Pure essendo dotato di un temperamento ardente, vivace, e anzi sensibile alle attrattive della società, sono stato presto obbligato ad appartarmi, a trascorrere la mia vita in solitudine. E se talvolta ho deciso di non dare peso alla mia infermità, ahimè, con quanta crudeltà sono stato allora ricacciato indietro dalla triste, rinnovata, esperienza della debolezza del mio udito.”
Attraverso le parole del musicista, ne comprendiamo la sofferenza ed il rimpianto per un’esistenza normale.
“Non vi può essere per me sollievo nella compagnia degli uomini, non possono esservi conversazione elevate, né confidenze reciproche. Costretto a vivere completamente solo, posso entrare furtivamente in società solo quando lo richiedono le necessità più impellenti; debbo vivere come un proscritto”
Forse è vero, la musica riesce ad esprimere più delle parole, più di qualsiasi altro movimento del corpo. Alla luce della drammatica confessione di Beethoven, per giunta, mai consegnata ai fratelli, mi sembra di ritrovarne lo stesso tono sofferente nelle sue composizioni.
E se prima erano brividi musicali quelli che la musica produceva in me, ora sono forti sentimenti di dispiacere e di stima. Stima per un uomo, un eroe del suo tempo, che non si è lasciato andare alla disperazione.