Da poco uscito nelle sale italiane The Beatles: Eight Days a Week, il docufilm del regista Ron Howard sugli inizi della carriera dei Fab Four
“Chiedi chi erano i Beatles”, o forse no. Perché a parlare di miti, si parla di loro che, pur non essendo negli anni’60, riescono ancora oggi nella difficile opera di proselitismo intergenerazionale. Cosa chiedo a fare chi erano i Beatles quando li conosce persino mia nonna di 95 anni e mio figlio, che di anni ne ha 2? Sarà per quest’aura leggendaria, che le aspettative sull’uscita del docufilm The Beatles: Eight Days a Week nelle sale italiane – avvenuta ieri e in proiezione fino al 21 settembre – erano (e sono) altissime! Appassionati di musica, nostalgici dei 60’s e chi più ne ha più ne metta non riusciranno a sottrarsi al fascino della pellicola del californiano Ron Howard, noto ai più per la regia di A beautiful mind.
Dai primissimi live al The Cavern Club, a Liverpool, al celebre concerto a Candlestick Park di San Francisco. Un collage di immagini, interviste, backstage e materiale inedito, realizzato attraverso la collaborazione degli ultimi due Beatles – Paul McCartney e Ringo Starr – e delle vedove Yoko Ono Lennon e Olivia Harrison. Al centro di tutto, il delicato rapporto con la fama. Diciamocelo pure, sarà sempre per quell’aura leggendaria, ma quando si parla di Beatles, dopo le tantissime canzoni che tutti quanti abbiamo intonato almeno una volta, in macchina o sotto la doccia, vengono in mente tutto il colossale merchandising e ancora la discreta mole di film già prodotti in merito.
In molti ricorderanno sicuramente Across the Universe, del 2007, qualcun altro ricorderà I am Sam, la pellicola del 2001 in cui sono presenti tantissime cover dei Beatles interpretate da Eddie Vedder, Ben Harper, Sheryl Crow, Nick Cave, Stereophonics e molti altri. Di film ne sono stati fatti anche altri, quello incentrato sulla presunta relazione omosessuale tra John Lennon e il manager Brian Epstein, quell’altro sulla ipotetica reunion. Insomma, la beatles mania ha dato da mangiare a parecchi cineasti e non solo.
Ma questo che ha di diverso? E’ forse un atto d’amore da parte di Ron Howard nei confronti della band di Liverpool. Fa quasi tenerezza l’intento di concentrarsi unicamente sulla prima fase della loro carriera. Quasi a non voler togliere quel candore che in effetti li ha accompagnati sin dagli esordi, ma che poi ha ceduto il passo al peso della celebrità. Ecco, la celebrità. Dal red carpet della premiere di The Beatles: Eight Days a Week, Paul McCartney specifica: “Era davvero quello che volevamo: diventare famosi con la nostra musica. Solo che all’improvviso ci è sfuggito tutto di mano”. Esattamente quando il pressing della stampa ha inquinato la loro armonia. L’isteria della folla, una distrazione dall’elemento che alla celebrità ce li aveva portati: la musica. Dopo tour infiniti, la stanchezza delle incomprensioni li costringe a tornare in studio per sperimentare e ricercare nuove sonorità. Ma il candore dei Beatles ha un tempo determinato, John Lennon e Paul McCartney divorziano artisticamente, la reunion è solo ipotizzata in un film.
Il candore tutto beatlesiano, l’armonia goliardica, si ferma a Candlestick Park perché è fino a quel live che immagine pubblica e privata dei Beatles combaciano perfettamente. Dopo c’è spazio per i personaggi fissi e il rispetto di essi in toto. Chissà, forse col tempo l’empatia di una volta sarebbe ritornata in auge e questo non lo sapremo mai. Il romanticismo di Ron Howard è comunque encomiabile.
Alessandra Maria