Lo studio sui batteri per stampare in 3D è stato pubblicato su ACS Nano.
Stampanti biologiche
Pensereste mai a dei batteri per stampare in 3D? E per stampare cosa? Fortunatamente, la risposta ce l’ha data la Aalto University che li ha impiegati per produrre oggetti tridimensionali complessi in nanocellulosa. Infatti, Il team di ricerca ha sviluppato una tecnica per guidare la crescita delle colonie batteriche tramite superfici estremamente impermeabili, dette superidrofobiche. Il progetto porta una straordinaria ventata di innovazione in campo medico, prestandosi ad applicazioni rivoluzionarie. Così, la ricerca pensa alla rigenerazione guidata dei tessuti o allo sviluppo di parti sostitutive per gli organi danneggiati.
Il potere della nanocellulosa
Diversamente dagli oggetti fibrosi fatti con i normali metodi di stampa 3D, con questa tecnica le fibre si possono orientare in qualsiasi direzione. Gli scienziati allineano le fibre, circa mille volte più sottili di un capello umano, in strati di diverso spessore e forma. Questa tecnica apre enormi possibilità alla rigenerazione dei tessuti. La versatilità del processo lo rende cruciale come materiale di supporto alla crescita di alcuni particolari tessuti dei muscoli e del cervello. “É come avere migliaia di minuscole stampanti 3D inseribili in una bottiglia” spiega Luiz Greca, co-autore dello studio. “Possiamo immaginari i batteri come dei microrobot naturali che raccolgono i materiali che forniamo e, a seconda dell’input, costruiscono date particolari strutture”.
Giocare con l’acqua
In uno stampo superidrofobico con acqua e nutrienti (zucchero, aria e proteine) i batteri aerobici producono la nanocellulosa. Essenzialmente, la superficie superidrofobica intrappola uno strato sottile d’aria. Questo porta i batteri a produrre una biopellicola fibrosa che replica la forma dello stampo. A quel punto è solo questione di tempo: più ne passa, più l’oggetto si rafforza e stabilizza. In questo modo il team ha creato oggetti dalle forme precise e predefinite, dalle dimensioni variabili. L’oggetto più piccolo misura un decimo del diametro di un capello umano, quello più grande circa venti centimetri. La nanofibra così prodotta non produce alcuna reazione avversa se messa in contatto coi tessuti umani. In aggiunta, il medoto potrebbe essere utilizzato per la produzione di modelli realistici degli organi, adatti alla pratica chirurgica.
I passi in avanti della biofabbricazione
“É eccitante espandere quest’area della biofabbricazione sfruttando le potenti fibre di cellulosa e i canali che formano” afferma Orlando Rojas, primo autore dello studio. “Stiamo esplorando alcune applicazioni per contrastare i danni da invecchiamento dei tessuti, perché questo studio è un grosso passo in avanti nel suo campo”. Rojas aggiunge che il tipo di batterio utilizzato dal team, Komagataeibacter medellinensis, venne scoperto in un mercato locale della città di Medellin, Colombia. In natura e in ingegneria, le superfici superidrofobiche sono fatte per minimizzare l’adesione di particelle di polvere o microorganismi e si pensa di usarle per costruire materiali manufatti naturalmente. Infine, i batteri possono essere lasciati dentro l’oggetto, che quindi evolverà e crescerà nel tempo in quanto organismo.
Daniele Tolu