Tra barriere anti oceano e passarelle: così New York risponde all’innalzamento dei mari

Barriere anti oceano e passerelle A1

A seguito della distruzione causata dall’uragano Sandy nel 2012, a New York si è pensato a un faraonico e impattante progetto di barriere anti oceano e passerelle sopraelevate. Ma in 10 anni i cantieri sono ancora parecchio indietro e, se le ultime modifiche verranno approvate, i lavori potrebbero terminare nel 2044.

L’uragano Sandy

È il 29 ottobre 2012 quando sulla città di New York si abbatte il più forte uragano della sua storia. È Sandy, un gigantesco ciclone nato nelle zone tropicali dell’Atlantico e poi risalito verso Nord. Lungo il suo tragitto ha seminato morte e distruzione e quando impatta sulla Grande Mela l’effetto è devastante. New York è irriconoscibile: i fiumi sono straripati, le strade sono completamente allagate e infangate, 100.000 case sono state spazzate via, buona parte della città è senza corrente, sono state spente in via precauzionale 3 centrali nucleari, ci sono numerose vittime (saranno 254 in tutti gli Stati Uniti). La città è nel caos: ospedali al collasso, sirene da tutte le parti, scantinati allagati, persone disperse, aeroporti in tilt, comunicazioni impossibili. Si sono stimati circa 42 miliardi di dollari di danni nella sola metropoli, più di 70 miliardi in tutti gli Stati Uniti.

Sandy, con la sua violenza, ha rimodellato le coste (e non solo) della città, e adesso, in forma preventiva, si stanno progettando barriere anti oceano e passerelle sopraelevate per mitigare il problema. Interventi che, a loro volta, rimodelleranno le coste.

Barriere anti oceano e passerelle: il progetto

Subito dopo l’uragano, nel 2013, l’amministrazione comunale e il corpo degli ingegneri dell’esercito hanno ideato un sistema di barriere marine a difesa della città. Si sarebbe trattato di 10 miglia di dighe che avrebbero difeso dalla 57a strada sul West Side fino alla punta di Lower Manhattan e, da lì, fino alla 42a strada nell’East Side. Il progetto ciclopico avrebbe richiesto miliardi di dollari e da subito ha suscitato notevoli perplessità, soprattutto da punto di vista ambientale ed estetico. Ad oggi, ha subito numerose modifiche strutturali e logistiche e a fine marzo potrebbe essere approvato o respinto definitivamente dalle amministrazioni cittadine.

Il nuovo progetto si tratterebbe di un muro a terra alto circa 20 piedi (6 metri) posto a mo’ di barricata nelle zone più a rischio accompagnato da arredamento urbano che lo renderebbe una sorta di nuovo e ridente lungo mare: barriere anti oceano e passerelle sopraelevate, insomma. A questo si aggiungono le 12 paratoie del progetto originario poste in mezzo al mare che, in caso di mareggiate, serrano i ranghi e impediscono alla città di essere sommersa. Il tutto per 52 miliardi di dollari e circa 15 anni di lavori.

Il progetto, attualmente solo sottoforma di proposta, è stato sottoposto alla cittadinanza e deve prima di tutto essere approvato dalla città e dallo Stato di New York. Se tutto andrà come deve andare, i lavori inizieranno nel 2033 per finire nel 2044. Lungimiranza è la parola chiave. O forse incoscienza.

Le criticità del progetto

Il progetto suscita numerose critiche e perplessità sull’impatto che avrebbe dal punto di vista ecologico ed estetico e sulla sua reale efficacia. Tra le obiezioni principali:

Risposte diverse per il medesimo problema

Al netto di tutto questo, inoltre, le associazioni ambientaliste denunciano che il progetto assomiglia a un enorme pezzo di nastro isolante utilizzato per tamponare una falla ben più grande: i cambiamenti climatici.

La verità è che New York, come tutte le città costiere, a causa degli effetti del cambiamento climatico, è destinata a essere sommersa. E con lei migliaia di atolli sparsi negli oceani e tutte le città costiere del mondo. Ne abbiamo un esempio in casa: Venezia. Tra l’altro, la Serenissima, ha recentemente portato a termine i biblici lavori del Mose che si stanno rivelando utili ma fino a un certo punto. Quasi 7 miliardi di euro e quasi 20 anni di tempo per mettere a punto un sistema di protezione che lascia non poche perplessità. Il rischio che a New York succeda qualcosa di simile è tangibile.

Il caso estremo: Jakarta

Anche Jakarta, capitale dell’Indonesia, metropoli costiera da 30 milioni di abitanti, ha gli stessi problemi. Si stima che un terzo della città sarà sott’acqua entro il 2050. Così il governo indonesiano sta portando avanti un progetto quasi fantascientifico: una sorta di trasloco di massa dell’intera città a 2.000 km di distanza, in una posizione più interna e più elevata sul livello del mare e quindi, si spera, meno soggetta al lavorio dell’oceano. La nuova megalopoli si chiamerà Nusantara e sarà una città altamente tecnologica, smart e green. Per quanto possa essere green una megalopoli da 30 milioni da abitanti.

Il problema è sempre lo stesso: i mari si alzano e le città sprofondano sotto il loro stesso peso. Si chiama subsidenza ed è un fenomeno tanto pressante per le città costiere (e non solo) quanto ignorato dalle amministrazioni.

Nascondere la polvere sotto il tappeto

Ed è così che noi esseri umani siamo chiamati a risolvere problemi che ci siamo creati da soli e, peraltro, così facendo, non facciamo altro che aggravare la situazione. Che impatto può avere una distesa di cemento per proteggere New York dall’Atlantico? E che impatto può avere la costruzione di una città da 30 milioni di abitanti da zero in un’area attualmente non antropizzata?

Barriere anti oceano e passerelle e traslochi di massa sono solo modi diversi per rispondere al medesimo problema. Ma sono reali soluzioni o solo tentativi di nascondere la polvere sotto il tappeto?

L’innalzamento dei mari non è più qualcosa che leggiamo sui libri o che ascoltiamo dalle parole di autorevoli ma inascoltati scienziati. I cambiamenti climatici li subiamo ogni giorno e l’innalzamento del livello dei mari è solo uno dei loro effetti. L’erosione costiera è un fatto e non saranno certo delle barriere di cemento a fermare la natura.

Arianna Ferioli

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