Abbiamo scritto del preoccupante fenomeno del bleaching (sbiancamento) su cui gli scienziati hanno lanciato l’allarme da tempo, abbiamo scritto che a inizio 2019 gli scienziati che sorvegliano e studiano la grande barriera corallina australiana hanno verificato che alcune parti sembrano più resilienti di altre e mostrano segni di adattamento all’innalzarsi delle temperature dell’acqua.
Ora arriva notizia dall’Università della Giorgia che in un’altra parte del mondo c’è una barriera corallina resistente al riscaldamento.
La ricerca è uscita su Global Change Biology.
Si tratta della barriera corallina tropicale dell’Est del Pacifico, in altre parole (non pensate a cosa è est per noi, se guardate una cartina del Pacifico è chiaro che le Americhe sono ad est e l’Estremo Oriente ad ovest) stiamo parlando della zona di mare che va dalla baia di California alle isole Galapagos.
Che vuol dire resistente? Che a differenza della barriera australiana, o di quelle ai Caraibi o nell’Oceano Indiano questa barriera corallina non sta semplicemente mostrando segni di resilienza, mantiene il suo.
La barriera corallina qui ha subito dei cali nei periodi di peggior riscaldamento, il fenomeno del bleaching è anche legato a El Niño perché durante questi eventi le acque si riscaldano molto, ma poi nel giro di 10-15 anni è tornata ai livelli precedenti.
I meriti, ipotizzano gli scienziati, vanno divisi tra la natura stessa dei coralli che compongono la barriera corallina del Eastern Tropical Pacific e le condizioni specifiche di questa zona dell’oceano.
Per quel che riguarda la natura dei coralli: la maggior parte dei coralli di questa barriera sono della famiglia delle Pocilloporidae che hanno un alto tasso di riproduzione.
Inoltre contengono alghe che sono particolarmente tolleranti alle alte temperature.
Gli aspetti climatici riguardano invece la copertura nuvolosa di certe zone di mare e la presenza del fenomeno noto come upwelling (o risalita delle acque profonde) un fenomeno oceanografico che coinvolge il movimento, provocato dal vento, di grandi masse di acqua fredda, dunque più densa, che risalgono verso la superficie dell’oceano dove vanno a rimpiazzare l’acqua superficiale più calda e dunque meno densa.
Un’altra componente naturalmente può essere anche che i coralli si stiano adattando sia tramite meccanismi genetici che tramite passaggio alla prole di tratti adatti alla sopravvivenza tramite meccanismi epigenetici (trasmissione di tratti non basata sul DNA).
Finalmente una buona notizia, non isolata, di come la natura riesca in qualche caso ad adattarsi ai cambiamenti troppo veloci causati dalle azioni umane.
Roberto Todini