William Dobson (Londra 1610-1646) si staglia quale uno dei più completi e maturi artisti inglesi dal punto di vista stilistico. Folgore del Seicento si configura come massimo esponente del “Barocco britannico” e il suo stilema perfezionista stigmatizza un sentire artistico dal respiro internazionale.
Costui serba l’imprinting italiano e fiammingo, nello specifico, riflette in parte la ritrattistica di Antoon Van Dyck e il Rinascimento maturo e consolidato di Tiziano. Il pathos perfettibile di Tintoretto nella pennellata, a tratti concisa a tratti sfumata, è una caratteristica che affascinerà Dobson che rielaborerà contenuti, formando un bacino personale di utenza.
La sua carriera è costellata di impegni onerosi ufficiali da pittore di corte di Carlo I di Inghilterra. Il senso accademico del decoro storico e di una funzione celebrativa della pittura sono per lui insiti nella modalità espressiva. Il Barocco viene assimilato in un contenitore moderato che tarpa verticalismi e vertigini formali.
Dobson accoglie un’etica didascalica che compone il piano intellettivo del rilievo, della documentazione e della memoria. Un simbolismo del potere reale e la sua conservazione nel tempo.
La fascinazione della sua arte risiede però nella commistione. Costui infatti ha come mentore la pittura veneta e la deputa un ingrediente fondamentale per il suo impianto compositivo.
La muscolatura pittorica con la sua nervatura connota gli sguardi e la mimica di un senso di disagio e irrequietezza. Elemento avvalorato dalla pennellata veloce e, a volte, i toni spenti sabbiati.
Il chiaroscuro e la teatralità della scena rappresentata creano l’atmosfera consona al Barocco universale. Gli accenti, il rapporto dialettico con la luce sono caratteristici di questo sentire che travalica i confini nazionali per estendersi altrove.
Oltre il rituale, l’ufficiale si rivela l’ufficioso. Traspare un approccio di genere che rende la sua arte allo stesso tempo prosaica e quotidiana.
Dobson rappresenta il bardo del Barocco all’inglese.