Il 18 aprile 2015, un’imbarcazione stipata all’inverosimile di uomini, donne e bambini si rovesciava in mare tra le coste libiche e quelle di Lampedusa. È la più grave strage di migranti nel Mediterraneo. Soltanto 28 i superstiti. Circa 300 i cadaveri rinvenuti nell’imbarcazione (fra loro il ragazzino del Mali che portò con sé, cucita sulla giacca, la propria pagella). Fra 700 e 900 il numero dei dispersi. Nel 2019, per volontà dell’artista svizzero-islandese Christoph Büchel, quel peschereccio è diventato un progetto d’arte pubblica dal titolo Barca Nostra, esposto alla 58esima Biennale di Venezia.
Barca Nostra alla Biennale di Venezia. Iter burocratico e stallo attuale
Prima di diventare un’installazione artistica, il peschereccio era custodito dal Ministero della Difesa presso la base Nato di Melilli, vicino ad Augusta (Sicilia).
Decisivo per la partecipazione dell’opera all’ultima Biennale fu l’impegno dell’archeologo Sebastiano Tusa, all’epoca Assessore ai Beni Culturali della Regione Sicilia e tragicamente scomparso in un incidente aereo nel marzo dello scorso anno. A portare a compimento il progetto, mettendo in comunicazione i soggetti istituzionali coinvolti, fu il Direttore del Museo regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo Alessandro Sergio, che con Tusa lavorava fianco a fianco.
Il Ministero della Difesa e gli organizzatori della Biennale raggiunsero un accordo basato su una precisa condizione: una volta conclusa la mostra, l’opera avrebbe fatto ritorno in Sicilia, nel comune di Augusta. Lì, l’opera avrebbe fatto parte del Giardino della Memoria e del Museo dei diritti umani, in ricordo di tutti i migranti morti in mare per fuggire da guerra e povertà o semplicemente in cerca di una vita migliore.
Purtroppo, però, l’opera non ha ancora fatto ritorno in Sicilia. Il motivo è nella battaglia legale tra Büchel e la società che ha trasportato il relitto, cominciata dall’artista a causa di alcuni danni subiti dalla sella su cui poggia il barcone. L’artista ha chiesto di far valere l’assicurazione sulle opere esposte alla Biennale, ma l’ente veneziano non sembra intenzionato a riconoscere alcuna copertura. Inoltre, lo stesso ente minaccia di far causa al Comune di Augusta qualora la banchina non fosse presto liberata.
Uno stallo poco edificante, se pensiamo al valore e all’impatto umano dell’opera.
“Un cavallo di Troia all’inverso”
Barca Nostra di Christoph Büchel è un’opera sui generis anche per il fatto di presentarsi così com’è, senza decorazioni, didascalie o rielaborazioni. Un “cavallo di Troia all’inverso”, afferma l’artista. Un’opera con cui ricordare la strage senza fine di uomini e donne senza nome e senza sepoltura ai quali l’Europa ha voltato le spalle. Quell’Europa che, per mano dell’Italia, ha deciso di scendere a patti con i trafficanti libici. Gli stessi che in quel peschereccio stiparono come bestiame più di mille persone.
Simone Rosi